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La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker
“Un noir dai contorni gialli†(sic) Fabio Fazio.
Joël Dicker, paragonato a Raymond Carver ed Edward Hopper, è in realtà la versione in carne e ossa del suo protagonista, Marcus Goldman. Goldman scrive un romanzo e ottiene il successo, ma poi un blocco creativo lo riporta da New York ad Aurora nel New Hampshire per un soggiorno presso Harry Quebert, autore nel 1976 di un “capolavoro†da quindici milioni di copie, e suo ex professore di letteratura nella piccola università di Burrows (e mentore e amico e allenatore di boxe). Nola, una ragazzina di quindici anni (sarà il suo numero fortunato) scomparsa nei boschi, il suo brutale omicidio scoperto dopo trentatré anni (l’età di Gesù, esatto), una presunta relazione con un aspirante scrittore, e ancora, un uomo dal volto sfigurato ossessionato dal ritrarre nei suoi dipinti ragazze bionde (nude ovviamente), un reverendo bizzarro (il padre di Nola) e via di seguito: Dicker usa ingredienti poco originali per confezionare un perfetto best seller programmato nei dettagli. Ambientazione: nato a Ginevra, ma con un passato di studi all’estero, Dicker sceglie un’ambientazione neutra, il New Hampshire (vicino al Maine di Stephen King), per poter raggiungere lettori di nazionalità diverse senza troppi problemi. Sono luoghi che attraverso cinema e letteratura sono entrati nell’immaginario collettivo, ma se fosse stata una cittadina a Sud di Seattle sarebbe cambiato poco (New York sarebbe diventata Los Angeles), ma l’East Coast è più chic. Lo stile è piatto, privo di elementi originali (possibili fattori di disturbo per i lettori occasionali) e di cambi di registro, anche quando Goldman/Dicker cita brani tratti dal capolavoro di Quebert, il testo ha il medesimo andamento del resto della narrazione e le missive sembrano scritte nell’Ottocento.
“Un testo non è mai perfetto. Al massimo c’è un momento in cui è meno imperfetto di primaâ€. Joël Dicker narra le vicende de “l’impostore†Marcus Goldman che si è spesso nascosto dalle vere sfide per riuscire a primeggiare. Il romanzo che vuole scrivere (e scriverà ) su Harry Quebert (anzi ne scriverà due) sarà il suo definitivo riscatto. In termini di vendite e popolarità Dicker ha previsto il futuro: da autore privo di talento e sconosciuto è divenuto un intrattenitore, privo di talento, molto ricco e conosciuto. I dialoghi sono imbarazzanti, pateticamente tutti uguali, come le altre pagine del libro: la lezione di Higgins e Leonard non è passata da queste parti. Alcune frasi paiono ricopiate dalle dichiarazioni d’amore o altro che si trovano scritte su un muro, ma sui muri probabilmente c’è di meglio. “Tu non devi morire. Tu sei un angelo e gli angeli non muoiono maiâ€.
L’assenza di intelligenza creativa di Joël Dicker è un dato di fatto non una banale questione di gusti. E’ lo stesso autore ad ammettere la realtà verso il finale del libro (che contiene tutti i colpi di scena mancanti nelle prime trecento pagine): “Alcuni faranno di te una celebrità , altri ti disprezzeranno (si chiama mettere le mani avanti e/o avere la coda di paglia n.d.r.). Non è per loro che scrivi, Marcus. Ma per tutti quelli che, nel loro quotidiano, avranno passato qualche bel momento grazie a teâ€. Scrivere, quindi, in questa dichiarazione poetica non sembra avere nulla a che fare con la vita, l’amore, la morte, le sconfitte: è evidente che chi ha scomodato Carver e Hopper non ha letto tutto il libro (in effetti questa rivelazione arriva a pagina 629). Per Dicker scrivere significa far passare qualche bel momento alle persone: è chiaro che qui non si parla di letteratura, Dicker, essendo privo di talento, scrive le sue regole e le rispetta. La letteratura si riduce davvero a “far passare qualche bel momento alle personeâ€? No, certo, “La verità sul caso Harry Quebert†è una forma di intrattenimento particolarmente fortunata sotto il profilo economico. E’ un best seller pronto per la trasposizione cinematografica e rivolto alla sabbia e agli ombrelloni. Nel caso a un certo punto siate stufi (non preoccupatevi sarebbe anormale il contrario) potrete passare direttamente alla “Parte Terza†(p. 627) che contiene i vari ribaltamenti della trama necessari per sciogliere i nodi della narrazione. Bisogna riconoscere, però, i meriti di questo romanzo: titolo e copertina sono ottimi (nella versione originale e in quella italiana).
Joël Dicker, “La verità sul caso Harry Quebertâ€, (ed. or. 2012 – trad. V. Vega), pp. 779, 19,50 €, Bompiani, 2013.
Giudizio: 1/5
7.06.2013 18 Commenti Feed Stampa
18 Commenti
CommentaChi ne parla bene non lo ha letto, non c’è altra spiegazione. Anche in Francia. Ad esempio, il recensore di Le Nouvel Observateur dice: “l’avvocato di Quebert si chiama comunque Roth (il nome proprio non è mai precisato)” quando Dicker scrive decine di volte Benjamin Roth (recensione tradotta su internazionale: link)
Sono riuscito con difficoltà a raggiungere pagina 137. Poi non ho più retto: la noia mi ha sopraffatto. 137 pagine passate nell’attesa che succedesse qualcosa di non banale. Attesa vana.
ohibó…D´Orrico ne parla non bene, ma benissimo
http://www.cabaretbisanzio.com/2013/06/07/verita-caso-harry-quebert-joel-dicker/
Driiiin.
“Pronto”.
“Antonio, abbiamo un problema”.
“Dimmi”.
“Abbiamo comprato ‘sto libro per trecentomila euro all’asta, senza leggerlo, per fare prima degli altri. E’ orribile, e la gente se ne sta accorgendo. Ne parlano male su anobii, su amazon. Gli abbiamo fatto un sacco di pubblicità e per un po’ è andato bene ma adesso non lo compra più nessuno”.
“E io che devo fare?”
“Scrivi che è un capolavoro”.
“Ma no dai, è una schifezza. Hai letto i dialoghi? Sembrano scritti da un tredicenne. E i consigli che aprono i capitoli? Sembrano i baci Perugina. Dai, mi vergogno”.
“Hai visto la trimestrale del gruppo?”
“Scrivo che è un capolavoro. Esagero, scrivo che rivoluziona la letteratura”.
“Subito”.
“Allora esce venerdì”.
“Anche domenica, è importante”.
“No anche domenica no, dai”.
“Hai visto la trimestrale del gruppo?”
“Scrivo subito il pezzo per domenica, metto un voto alto”.
“Deve essere dieci”.
“No, dieci mi vergogno”.
“Fai tu, ma deve colpire, la gente deve comprarlo”.
“Vabbè, metto centodieci e lode, per ridere un po’”.
“Bravo!”
Ridono.
Concordo pienamente con il commento di Francesco: il successo e’ abilmente pilotato e sostenuto, con grande contributo di “Antonio” ( do you remember Faletti?).
Libro scritto male, forse anche mal tradotto. Ambientazione americana stereotipata, di maniera. Trama che non si capisce dove vuole andare a parare.
Sono a pagina 413, delusa e annoiata da cliché di sergenti, lolite, ville sull’oceano buen retiro di scrittori in cerca di ispirazione.
Cito a pag. 30: nel 1988 Harry entra nella vita di Goldman e ha 57 anni. Nel 2008, anno del narrazione, ne ha 67.Ma va!?!
Dialoghi banali, scontati, personaggi che fanno sorridere: che dire dello sfigurato Caleb? e le situazioni del tipo “non si accorse dell’ombra acquattata che la spiava…”
Unica nota positiva: non l’ho acquistato ma preso in prestito in biblioteca?
Camilleri, quello si’ che lo acquisto sempre…
Voi ci scherzate, ma a me ‘sto romanzo mi ha fatto venire il blocco del lettore.
Qualsiasi cosa legga mi fa tornare alla mente il prof. Quebert.. I consigli che elargiva al giovane scrittore, il suo amore per Nola, il terribile crimine commesso, l’infelicità e la frustrazione del protagonista che non riesce più s scrivere un cazzo di best seller e nessuno se lo fila più, tranne la madre.
Io sto male.
Dicker m’ha rovinato l’estate.
Mi consola solamente la storiella che m’ha raccontato ieri Enzo.
“C’è un critico che legge La verità sul caso Henry Quebert e dopo averlo letto deve scriverci sopra un pezzo, e a un certo punto della recensione si domanda – Ma chi l’ha detto che un capolavoro deve essere per forza scritto bene?”.
Grazie, Enzo.
Grazie critico barzellettiere.
Faccio outing: ho comprato il libro dopo aver letto la recensione di D’Orrico. E sì che mi ero ripromesso, dopo l’ennesima “patacca” che il nostro ci aveva rifilato, di starci attento. Ma l’ho comprato. Incurante perfino della sensazione di disagio provata nello scorrere velocemente, in fila alla cassa, le prime righe di una pagina aperta a caso (gran bel modo per soppesare un acquisto: avrei dovuto starci attento, sì). Niente. L’ho comprato. E sono arrivato a stento a una cinquantina di pagine, più che altro per giustificare gli euro spesi. Raramente mi è capitato di leggere – almeno in un libro tanto celebrato – un’accozzaglia simile di banalità , un tale livello di trascuratezza, una così totale assenza di invenzione (Harry, segui il labiale: fiction, non entertainment). E adesso mi ritrovo alle prese con lo stesso fenomeno lamentato da Daniele: io che scrivo, ho l’incubo di diventare anch’io un “Harry Quebert”. Rileggo compulsivamente quanto ho scritto negli ultimi mesi e mi chiedo angosciato, davanti allo specchio: sarò mica come lui? Certi libri andrebbero – anzi, vanno – evitati: possono contagiarti.
Io lo sto leggendo e credo che lo finirò, perché ho questa compulsione un tantino patologica: i libri li devo finire, punto.
Però, però. A mio modestissimo parere la storia potrebbe anche andare, ma lo stile è di una sciattezza esasperante, quasi non ci si crede, quanto è piatto e dozzinale. Magari è colpa del traduttore, non so, ma non si regge.
E comunque, tornando alla compulsione, ho pagato 19 euri e 50, per ‘sta roba, quindi lo finisco. A costo di vomitare…
Non penso sia colpa della traduzione. Inoltre se fai caso anche la storia fa acqua: la mamma sembra una macchietta, il poliziotto vede il protagonista calpestare la scena primaria (recintata col nastro giallo) del crimine e poi diventano amiconi e indagano insieme (sì, buonanotte Dicker!).
Ho appena finito di leggere il “capolavoro”, vittima anch’io dei consigli di D’Orrico( di cui però continuerò a tener conto, così so quali libri evitare).Concordo con tutti i giudizi negativi che ho letto. Purtroppo l’ho comprato ma ho già sentito la libreria se è disposta a riprenderselo come libro usato :non voglio occupare spazio in casa per conservare il frutto di una ignobile operazione di promozione commerciale.
Sono d’accordo con le osservazioni di chi mi ha preceduto. A me quello che è sembrato più sconcertante è che questo libro ha vinto il Grand Prix de l’Académie Française lo scorso anno e per di più è stato finalista (per grazia di dio non ha vinto…) anche al Goncourt 2012.
Ora, a me è capitato altre volte di leggere dei polizieschi dal grande successo di vendite (non fatemi fare esempi…) che si sono rivelati banalissimi e mal scritti, ma non sono stati selezionati, che so, per il Pulitzer o il Booker!
Il libro di Dicker invece, con quei riconoscimenti attribuiti dalla di solito spocchiosa intellighenzia francese, è stato di fatto accostato a Houellebecq (che beninteso può piacere o non piacere) alle “Benevole” di Littell e a “Suite francese” della Nemirovski (anche questi possono pure non piacere…), opere comunque di ben altro spessore!
Non me lo spiego proprio…
Rimando al commento numero 1 di Antonio Pagliaro che riporta un esempio eclatante.
E’ spesso come libro, devo proprio leggerlo TUTTO e scriverci anche una recensione??? Che palle! Senti che faccio, copio cosa dice un altra persona, e, riaggiustando un po’ il tono, ecco la recensione!
Riguardo ai premi: siamo nel XXI secolo, siamo cinici (basta guardare chi ha vinto il National Book Award 2012), drogati con Dexter e Breaking Bad e… tutto ha un prezzo, anche un voto.
Enzo.
“…(basta guardare chi ha vinto il National Book Award 2012)”
Parli di “La casa tonda”? E’ così brutto?
Non “così” brutto, è quasi impossibile battere Dicker, credo, però avrebbero potuto scegliere meglio.
Libro pessimo… poco credibile la storia, i personaggi e squallidi i mezzucci usati dall’ autore per calamitare l’attenzione del lettore…. ho smesso di leggere quando sono arrivata alla descrizione della fellatio al capo della polizia… patetico
Giusto!
Ma non l’ha letto nemmeno il grafico ? Io ho aspettato tutto il libro per capire chi fossero le due persone di spalle dentro al taxi con lo sportello aperto e la ragazza mora per strada raffigurati nella copertina …. Ma non c’entrano assolutamente niente con la storia ! O è un errore assurdo o è una cosa geniale !
Il grafico ha ricevuto un compito preciso: trovaci una copertina figa per avvolgere questa roba.