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Ternitti di Mario Desiati
“L’asbestosi era una peste non democratica, si era presa i disgraziati che avevano lavorato con l’amianto e non i suoi padroni che ci avevano campato, ma era pur sempre una peste, perché la peste la condividi”.
Desiati racconta l’inferno della fabbrica con un realismo che ricorda Germinale di Zola. Parte dal punto di vista di Mimì Orlando, prima nei pressi di Scorrano, poi in Svizzera con i genitori; infine, dopo anni di lavoro e amore e sofferenza, di nuovo in Puglia. La famiglia Orlando: il padre Antonio e la mamma Rosanna e anche il fratello Biagino, che diverrà “l’uomo rotto”, colui che cercherà sempre nell’alcol la verità delle cose.
Antonio lavorò con le fibre d’asbesto, ma all’epoca quelle polveri che prima ti arpionano i polmoni come ganci, e poi ti divorano un anno dopo l’altro, non erano conosciute; si parlava di “ternitti”: “Ternitti era la storpiatura di Eternit, ternitti venivano chiamate le fabbriche in cui si aveva a che fare con il cemento amianto; in fondo, al Capu, ternitti era sinonimo di tetto, tegola, cemento, e gran parte del materiale usato nei cantieri, anche se amianto non era”.
Mario Desiati racconta della famiglia Orlando, quindi di Mimì e del suo primo amore che le portò, appena adolescente, una maternità da cui nascerà la figlia Arianna. L’amore tra Ippazio detto Pati e Mimì occupa poche pagine; Desiati oppone all’ovvio il realismo più spietato, creando il miracolo della narrazione perfetta che parla al lettore, ma anche il miracolo della poesia (perché spesso è pura poesia il linguaggio utilizzato) che usa la lingua viva per trasmettere emozioni vive.
Troppo spesso abbiamo letto prodezze linguistiche e miseri trucchi da esordienti, buoni per impressionare i critici e i lettori da supermercato: un esempio a caso? Viola Di Grado. La sparata pubblicitaria sul suo pietoso romanzo e sulla giustizia e i premi letterari fatta sul Sole 24 Ore racconta tutta la povertà della critica letteraria “autorevole” in questo paese.
Desiati parla di amore, di emigranti che svaporano nelle fabbriche del Nord, ma solo dopo anni (gli ultimi morti per asbestosi sono previsti entro il 2015), parla di gentilezza: “La gentilezza si esercita con lo sguardo, col tono della voce, ed è uno stato dell’anima che si instaura tra due animali innamorati oppure tra due esseri umani che hanno la naturale predisposizione verso la grazia delle cose. Grazia. Una caratteristica che uomini non necessariamente colti, ma dotati, sì, di intelligenza esercitano senza sforzo”.
In molte pagine Mario Desiati, pur raccontando una storia immersa nella realtà, ricorre a una lingua che sconfina nella poesia e lascia ammirati questa sua lunga, faticosa e riuscita ricerca di verità e bellezza.
Mario Desiati, “Ternitti”, pp. 258, 18,50 euro, Mondadori, 2011.
Giudizio: 5/5.
11.05.2011 7 Commenti Feed Stampa
7 Commenti
Commental’entusiasmo mi pare eccessivo, il riferimento alla di grado
invece ottimo . l’ho messo su fb e mi risparmio di recensirlo io… saluti
Romanzo fantastico. Alcune immagini sono semplicemente poesie. Forse il miglior italiano di quest’anno.
PS Di Grado -magari- se legge per una decina d’anni e poi si rimette a scrivere è meglio…
Desiati è bravo, ma la Di Grado è straordinaria: divertente questa complice insistenza baranelli-lupo sulla sua presunta scarsezza. Quindi, riassumendo il brillante messaggio, tutta la critica letteraria, nonché la prestigiosa “classifica di qualità” Pordenonelegge-Dedalus- in cui la Di Grado è prima- si sbaglia, e solo voi due avete ragione. Capisco che il sito si dichiara un cabaret, ma un tantino di lucidità/serietà di giudizio (e rispetto verso la letteratura) non guasterebbe.
vorrei sollevare “cabaret bisanzio” da ogni responsabilità legata a una supposta complicità con il sottoscritto: nessuno dei redattori conosce me, né evidentemente io conosco loro, tantomeno Baranelli: sono capitato qui per caso – solo, trovo anch’io sconcertante il plauso incondizionato per la Di Grado, sebbene sospetti che il mio giudizio sia più sfumato (ho scritto altrove “Molte cose a sproposito si son dette su Settanta acrilico, trenta lana di Viola Di Grado (Edizioni e/o), giovanissima scrittrice che hanno paragonato a Amelie Nothomb e che rischia purtroppo di assomigliare a Isabella Santacroce. Il suo libro racconta una storia molto dark ambientata a Leeds, una città “dove l’inverno è cominciato da così tanto tempo che nessuno è abbastanza vecchio da aver visto cosa c’era prima”.
La Di Grado probabilmente non è priva di talento (la sua scrittura, che a molti è sembrata audace, a tratti non è priva di spunti interessanti), ma fa pensare a certi talenti calcistici bruciati da giovani – spacciati troppo presto per fuoriclasse. Così non si vorrebbe nemmeno fare l’errore contrario e sottoporre il testo a un’analisi impietosa che ne evidenziasse le soluzioni sconcertanti, i salti nel vuoto: “Il cielo è soltanto un remake a basso budget dei suoi occhi.” Oppure, “Quanto al sole, poveraccio, era soltanto un puntino” etc – sole poveraccio? Sui vestiti che non le stanno bene: “Le scollature mi prendevano in giro”. Giovanissima, la Di Grado, e paleofreak.”)
Rinaldi invece mi pare si esprima con una certa affrettata e un po’ risentita disinvoltura: primo, le faccio notare che anche il sottoscritto è presente nella “prestigiosa classifica di qualità” come la chiama lei, seppure nelle ultime posizioni – secondo, invocare come fa lei un solenne rispetto per la letteratura dovrebbe indurla a leggere con più attenzione (la di grado e qualcos’altro) e a scegliere con più prudenza gli interlocutori di un commento. per il sottoscritto parlano i suoi libri, per lei non so
il libro della di grado è fenomenale, gli articoli entusiastici dei critici e i numerosi premi non fanno che renderle giustizia! a mio parere a parlarne con tanto livore può essere o uno scrittore fallito ed invidioso o qualcuno che non l’ha semplicemente letto. esistono pareri contrari, è vero, ma mi sembra buffo che si parli così esageratamente male di un libro che giustamente è stato definito un miracolo letterario.
a mio parere “salvo ursino” sei un…
Certo numerosissimi premi… il campiello opera prima 2011, il vulcano d’oro 2011, ‘na pizza da Giggi 2011 (dessert a parte), incalcolabili premi… finalista allo Strega… ah, no non è in cinquina, che sfiga per 28 voti (ne ha ricevuti 20, una miseria) ce la poteva fare! Mistero buffo, più che altro…