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Manituana di Wu Ming (senza numeri).
Ammazziamoli tutti. Dio riconoscerà i suoi. Abate di Citeaux parafrasato da Wu Ming.
[In realtà buona parte di questa recensione è stata scritta anni fa. In realtà comprai il libro in una libreria di Firenze, quando lavoravo per un’azienda molto generosa con i rimborsi spese].
Wu Ming, il collettivo allargato, conosciuto un tempo come Luther Blissett, autore dell’ottimo “Q“, ha prodotto “Manituana“. Produrre è la parola adatta, sebbene sia merce non protetta, di cui è consentita la copia totale per scopi non commerciali (chi conosce il collettivo saprà che si batte per il copyleft, l’open source ecc.). Produrre: Arte o Techne? Mi pare che fosse il titolo del tema che non ho fatto alla maturità classica (pre-riforma).
Il romanzo di Wu Ming è un’infame accozzaglia di narrativa sospesa tra l’ultimo dei Mohicani e un pastiche di Dickens prima e seconda maniera, con un aggiunta di romanzo storico aggiornato al tempo del cyberspazio. Gli autori confezionano un buon prodotto: l’artigianato si eleva ad arte o almeno tenta. “Manituana” narra le avventure di un gruppo di Mohawk fedeli a Re Giorgio, mentre è ormai prossima la Guerra d’Indipendenza Americana. Sangue. Morte. Punizioni. Magia. Climax. Anticlimax e finale catartico (o forse no). Come sia andata a finire poi la Storia penso che lo sappiano tutti: avete presente l’esercito degli Stati Uniti ubiquo sul globo terraqueo, no? “Manituana” si concentra sullo «sterminio di molti mondi possibili». La risposta, ovvia, di un lettore di Philip K. Dick è «se questo mondo vi sembra terribile, è perché non avete visto gli altri».
Francamente, lasciando da parte l’amato Kindred, preferisco Chandler e Thompson a Sakihenakenta, Warraghiyagey, Uraghqudira, Kanenonte, Tekarihoga ecc. (se volete leggere il libro abituatevi…). Che per arrivare ad avere Hollywood (dove Chandler e Faulkner hanno lavorato per guadagnarsi da vivere), la CIA, che così tanto ci diverte, l’FBI di J. Edgar Hoover, James Ellroy, Salinger, Pynchon, DeLillo ecc. siano stati sterminati mooolti mondi è cosa ovvia.
Quando uno degli autori è stato concepito, sono morti migliaia di spermatozoi che non sono arrivati alla cellula uovo: molti esseri possibili (magari migliori).
Insomma: poche idee nuove, anzi nessuna.
“Manituana” è un discreto romanzo che zoppica con dignità verso un finale scontato.
È ora di metterci una pietra sopra: i fasti di “Q“ non saranno eguagliati. Forse un colpo di genio porterà il capolavoro definitivo (qui siamo un gradino sotto “54“, quindi il trend non è in crescendo, e le ultime opere pubblicate confermano questa tesi), ma a quel punto il gruppo di autori, raggiunta la vetta, dovrà sciogliersi. Attendiamo fiduciosi.
Wu Ming, “Manituana”, pp. 613, 17,50 euro, Einaudi, 2007.
Giudizio: 3/5.
11.05.2009 2 Commenti Feed Stampa
2 Commenti
CommentaQuesti coglioni dei WuMinghia sono troppo dei coglioni coi loro libri trashissimi, pomposi e stupidi. Si prenda “trash” nel senso labranchiano del termine: emulazione, fallita, in ritardo (di grandi scrittori americani, ci si chiedesse di chi).
A me piace poter scaricare un libro da Internet, vedere se m’interessa e poi al limite acquistarlo.
A dire il vero metto anch’io i miei romanzi online (ma per necessità, visto che nessuno ancora me li vuole pubblicare). Se ci pensate, questo comportamento sottintende a una visione della letteratura come valore da condividere che non solo è morta e sepolta, ma che non ha nemmeno senso di esistere.
Cioè, chissene frega di leggere per forza il mio stupido libro: se ti piace te lo compri, se no leggi altro, e la gente non morirà di fame se al posto di 10 mila romanzi mediocri se ne stampano/vendono/leggono altri 10 mila.
Ma io sono e rimango un sognatore, e credo anche questi Wu Ming che – ovviamente – mi stanno particolarmente simpatici.
Simone