Cabaret Bisanzio, laboratorio di finzioni > Zibaldone > Tra le rovine di Gomorra
Tra le rovine di Gomorra
Ci sono film che segnano, altri che lasciano il segno. Gomorra è uno di questi. Il film che Matteo Garrone ha tratto dal best-seller internazionale (basta digitare “Saviano” su www.youtube.com per rendersene conto) è un’opera di rara potenza. Dopo anni di ombelicalismi e carinerie, dopo infiniti dibattiti e rinvii a giudizio per il cinema italiano – giudizio che rischia di cadere in prescrizione – arriva nelle sale un film che è una sentenza: il cinema italiano è vivo, e lotta con noi.
Chi sono questi camorristi dai nomi impronunciabili come personaggi manzoniani? Chi sono questi imprenditori del crimine che hanno fondato imperi transnazionali ed economie di scala? Sono alieni venuti da un altro pianeta o sono solo ragazzi come gli altri che non hanno avuto le possibilità che hanno avuto gli altri? Alieni, nella meravigliosa sequenza d’apertura, sono certamente alieni. Sotto la doccia di luce bluastra di un solarium che sembra la cabina di un’astronave, si presentano all’incontro ravvicinato con lo spettatore. Così si apre Gomorra, con questo attacco fantascientifico sospeso tra Kubrick e Alien, un’opera tanto singolare da non somigliare a niente, nemmeno agli altri film di Garrone. Ma dallo spazio si torna subito sulla terra, quando gli alieni vengono crivellati di colpi. Sono quelli i veri titoli di testa del film, molto più del lettering pop anni sessanta della locandina.
Garrone e il suo plotone di cosceneggiatori (Braucci, Chiti, Di Gregorio, Gaudioso, Saviano) sono riusciti ad adattare un libro difficile, un romanzo che non è un romanzo. L’operazione è riuscita perché l’equipe ha avuto il coraggio di tentare un’intervento rischioso ma necessario, aprire il paziente per estrarne il cuore: i personaggi. Del libro si è salvato quindi la cosa più bella (drammaturgicamente parlando) per innestarla nel tessuto di una sceneggiatura apparentemente slegata, che si ricuce però nell’unità della visione, nel territorio dello sguardo di un autore che finalmente “ha un’idea”, la “sua idea”, di cinema.
E’ in questa terra di nessuno, nello spazio abitabile dell’inquadratura, che si incontrano i personaggi di Gomorra. Il sarto Pasquale, uno straordinario Salvatore Cantalupo che a tratti ricorda il superlativo Ulrich Mühe de Le vite degli altri, Ciro e Marco, i due ragazzini che giocavano a fare i gangster ma i gangster non giocavano con loro, l’ex cassiere della camorra Toni Servillo diventato ormai imprenditore, il donabbondiano ragionier Ciro (Gianfelice Imparato), il piccolo Totò (Salvatore Abruzzese), pedina innocente di una sanguinaria guerra tra clan, tutti i personaggi di Gomorra si incontrano nella frontiera disperata delle Vele di Scampia. Uno spazio cinematografico, che putroppo è reale. Perlomeno da quando è uscito il libro di Saviano, perché ciò di cui i media non si occupano, è come se non esistesse o non fosse mai esistito. Garrone in assoluta controtendenza di fronte a un cinema sempre più isterico e tarantiniano, non adotta un ritmo serrato da gangster movie, non rompe il tempo della rappresentazione, preferisce tenere la macchina a spalla, e brandeggiarla come una pistola a destra e sinistra piuttosto che ricorrere alla frenesia del montaggio, indaga volti e ambienti senza nessun moralismo, cemento e carne, rosso e grigio, quando la vita di un uomo non ha più valore diventano solo colori, superfici, campiture. Nessun moralismo nello sguardo del regista, nessun giudizio, nei territori bui dove la ragione non ha cittadinanza l’unica etica possibile è l’estetica. C’è una bellezza nel terribile, questo è innegabile. Ma nessun compiacimento è possibile, Gomorra è pugno nello stomaco, è un film che non patteggia con la realtà. Qui non siamo in un film sembra dire il film, qui non si gioca, né col cinema né con la vita, si fa sul serio, maledettamente sul serio. Ci sono momenti di Gomorra che ci accompagneranno a lungo, ne sono sicuro. I corpi ossuti e nudi dei due ragazzi, che giocano a fare la guerra in un acquitrino rischiarato dalla luce livida dell’alba, gli interni sfuocati e clandestini di una nauseabonda cucina piena di cinesi. Verso la fine c’è una sequenza, in cui una macchina investita da una raffica di mitra finisce fuori strada mandando in frantumi colonne romane di gesso e riproduzioni di statue pompeiane. Quelle che crollano, forse sono le rovine del cinema, di un certo cinema. Quelle di Gomorra invece sono le rovine della nostra società, di tutta la società.
16.05.2008 12 Commenti Feed Stampa
12 Commenti
Commenta“Del libro si è salvato quindi la cosa più bella (drammaturgicamente parlando) per innestarla nel tessuto di una sceneggiatura apparentemente slegata, che si ricuce però nell’unità della visione, nel territorio dello sguardo di un autore che finalmente “ha un’idea”, la “sua idea”, di cinema.”
“Uno spazio cinematografico, che putroppo è reale”…
hai inquadrato il “movente”. ma la realtà non è l’idea di cinema che la versione del film di Saviano trasmette, ma la realtà stessa…
M’hai fatto venir voglia di andarlo a vedere, però non so se un film, da solo, può fare una rinascita: mi sa che più che altro Garrone è una botta di defibrillatore su un paziente morente… dovrebbero fare film sulla crisi energetica, su temi attuali, e invece nada, sti stronzi! Sempre a raccontare storielle. Pochi giorni fa sono andato a vedere mai l’avessi fatto il film Riprendimi di Anna Negri: sono uscito dopo mezz’ora, credo sia un po’ la summa della merda che si può girare in Italia (e a Roma in particolare).
Sì, hai ragione Marco, c’è tanta merds.
Però Gomorra non è solo, insieme ci sono 2 film che fanno ben sperare: sono Il divo di Sorrentino e Il passato è una terra straniera di Vicari tratto da Carofiglio.
Amici che l’hanno visto (in montaggio) mi hanno detto che spacca proprio. Gomorra forse non è un caso, se questo film incassasse bene allora vuol dire che non esiste solo la logica produttiva della fiction, l’arrogante ragionamento del dirigente RAI che considera lo spettatore un sottosviluppato (e, alla fine, a furia di trattarlo come tale lo diventa). Gli autori ci sarebbero, è il sistema produttivo che è malato.
sono molto curiosa di vedere il film, il libro non è per niente facile da sceneggiare, vediamo questo Garrone come se l’è cavata!
Io ho provato ad acquistare Gomorra da Emanuele, ma, completato l’acquisto, appena mi apprestavo a godermi la visione del film, cosa ti trovo in primo piano? Tutto lo splendore di Johnny Tarallo! Cavaliere, lei ne sa niente?
No ma è vero, considerare tutto merda non va bene, però tanto cinema italiano è proprio brutto. Sì ultimamente ci sono interessanti novità, speriamo continui così: non si capisce perchè in altri Paesi riescano a fare un buon cinema in modo continuativo e qui da noi no, o troppo poco.
Il buon cinema arriva quando si lasciano gli autori liberi di esprimersi. Non troppo liberi (lì succede coem con la Negri), liberi. Ci vorrebbero più produttori intelligenti, come Procacci, e Giuliano che ha tutte le carte per superare il “maestro”.
io, da ex attrice ne ho incontrati pochi di produttori intelligenti. Ho avuto l’onore di avere un ruolo ne “La voce della luna” e ti assicuro che nonostante fosse Fellini, Cecchi Gori sul set dava di matto ad ogni ciak di troppo! Purtroppo mirano al soldo facile, sono impresari di un’azienda che deve rimanere in attivo e la cultura si sa, non paga…
Giovanotto Ciccio,
non funesti un bel giorno di festa (Stacchia ANCORA campione d’Italia!) con il doloroso ricordo del fu Johnny Tarallo…
Comunque si… “Gomorra” fu l’ultima pellicola interpretata dal nostro, prima che si ingolfasse definitivamente…
Cordialmente,
Cav. Marcello Stacchia
scusate sto recuperando gli accessi…sono arrivati i tecnici!
il punto cruciale è che entrambi, film e libro, non sono consolatori: Gomorra è Gomorra.
si potrebbe parlare del “come” sono fatti, film e libro: con Roberto Saviano che non eccelle tecnicamente, mentre Matteo Garrone è un maestro.
ma l’importante – e non credo sia solo una mia idea – sono i contenuti, il “cosa”.
e lì, Saviano e Gomorra/libro sono un’altra cosa: Roberto fa i nomi, li fa tutti (“Io so i nomi”!!), e la sua indignazione è la stessa di chi legge.
il film è un buon film e benvengano questi film (chissà che, davvero, non sia questo un buon momento per produrre idee – il momento peggiore della Storia Del Mondo), ma Gomorra è molto più di un libro, molto più di una storia: è coraggio e schifo, sangue e vomito, realtà e delirio.
nel film ci sono il sangue e il delirio, lo schifo anche; ma mancano coraggio e realtà, e il vomito, sì il vomito che ti prende quando senti – come lo sente Roberto – l’odore del sangue e delle ossa e del latte marcio.
e.
A Bordone il film non è piaciuto:
http://www.freddynietzsche.com/2008/05/gomorra.php
(forse ci starebbe bene un commento del capo indiano Extiqatzi, per chi lo conosce)