Cabaret Bisanzio, laboratorio di finzioni > Letture > Intervista a Silvia Ognibene su Megachip
Intervista a Silvia Ognibene su Megachip
[Megachip intervista Silvia Ognibene. Silvia è autrice del libro “Esordienti da spennare”, inchiesta sull’editoria a pagamento, edito da Terre di Mezzo. Parte dell’inchiesta è stata pubblicata qui]
E’ ovvio allora che non hai avuto difficoltà a trovare un editore che non ti facesse pagare tutta l’operazione?
Ho avuto la grande fortuna di non dovermi cercare un editore: è stato l’editore a cercare me, per commissionarmi il libro. Avevo conosciuto Davide Musso collaborando per il mensile Altreconomia. Conosceva il mio lavoro di giornalista e ha ritenuto che avessi le competenze giuste per condurre l’inchiesta dalla quale poi è nato il libro.
Il libro parte da una tua esperienza personale: hai confezionato, un po’ raffazzonato, un manoscritto… e nessuno se n’è accorto. Possibile che nelle case editrici da te contattate nessuno si sia accorto che era uno scherzo? Che minimamente si siano insospettiti della tua, passami il termine, “trappola”?
“Trappola” è il termine giusto. Il punto è che gli editori a pagamento mandano in stampa di tutto, i manoscritti non li leggono nemmeno perché non fanno profitti sul mercato librario, cioè vendendo i libri ai lettori, ma si garantiscono il guadagno nelle tasche degli autori che cascano nel tranello.
Hai avuto problemi con gli editori che hai citato? Lo hanno letto? Sono arrivate delle querele?
Per il momento non ho ricevuto nessuna querela. Non so se questo dipenda dal fatto che gli editori a pagamento citati non hanno letto il libro, oppure sia dovuto al fatto che non hanno elementi per potermi querelare. Io ho fatto semplicemente il mio mestiere. Ho inviato un manoscritto, ho atteso che mi inviassero le proposte di contratto per posta, poi ho telefonato per avere spiegazioni sulle modalità di pubblicazione. E nel libro ho riportato pari pari le loro risposte.
Che cosa hai capito scrivendo questo libro?
Ho capito che quello del libro è un mercato che segue le medesime logiche di tutti gli altri e che, per questo, fare prodotti di qualità e sopravvivere alla politica del prodotto di massa (scarsa qualità per un pubblico più vasto possibile) è un mestiere difficile, arduo che va saputo fare bene. Ho capito che in Italia ci sono editori piccoli, ma onesti e seri, che si impegnano per fare ricerca, scoprire nuove voci, offrire libri di buona qualità e tenere contemporaneamente in piedi l’azienda editoriale ricercando, con sforzo, un difficile equilibrio finanziario. Ho capito che gli editori piccoli possono sopravvivere se puntano tutto sulla qualità. Ho capito che, assieme ad essi, il panorama editoriale italiano è infestato da gente senza scrupoli, che non ha interesse a pubblicare buone opere, ma solo a far quattrini nelle tasche degli sprovveduti.
Quanto è difficile per un giovane esordiente diventare uno scrittore affermato in Italia?
Esordire è difficile ma non impossibile. Oggi pubblicare è più facile che in passato, sia perché ci sono più case editrici sia perché produrre costa meno grazie all’abbattimento dei costi di stampa.
A patto che l’aspirante esordiente sia disposto ad affrontare un cammino sicuramente più faticoso che staccare un assegno. A questo proposito, Giorgio Pozzi della casa editrice Fernandel mi ha detto: “Ci sono due gradini il primo è quello della scrittura, dove sei solo con te stesso. Nessuno può togliertelo. Nessuno può dirti di non scrivere. Il secondo gradino è quello della pubblicazione, che significa dare vita ad un prodotto capace di stare sul mercato. Per far questo servono, in primo luogo, pazienza e capacità di autocritica. È fondamentale saper leggere e riconoscere la bravura altrui”. Pagare l’editore non è una buona soluzione anche perché è l’esordiente che per primo mostra di non credere a sufficienza nelle proprie capacità. E, quando poi decide di presentarsi al cospetto di un editore ‘vero’, l’aver pubblicato a pagamento non è un buon biglietto da visita da esibire.
Continua a leggere su Megachip.
7.12.2007 9 Commenti Feed Stampa
9 Commenti
Commentaslvia, in primo luogo complimenti
un’inchiesta si fa così e, di fronte a dati oggettivi, sei inquerelabile.
riporto un tu passaggio, ora, questo
Oggi pubblicare è più facile che in passato, sia perché ci sono più case editrici sia perché produrre costa meno grazie all’abbattimento dei costi di stampa.
io non ho la stessa certezza sulla facilità di pubblicare.
credo che sia un casino, oggi come ieri.
si parla spesso dei 170 libri che escono ogni giorno. bene, ma che libri sono e di chi sono?
insomma: quanti autori nuovi lancia il mercato?
te lo dico perché mi è successo di avere per le mani dei buoni manoscritti di altri, tutti respinti.
te lo dico perché conosco alcuni scrittori che dopo aver pubblicato son fermi, ora, ché non li vuole nessuno.
te lo dico perché ho la sensazione che ci sia tanta produzione ma poco lavoro di scouting.
è un problema, se vogliamo, di mercato.
non è tanto il costo stampa che incideva o incide. quello che incide è il costo del lavoro.
allora, quante case editrici – e quali – investono in editor che leggono e segnalano?
io credo poche.
alcune piccole, che però sono a rischio zero, o 100, massimo 400 copie vendute.
che vuol quasi dire non essere pubblicati.
resti in libreria, nascosto, per quattro mesi se va bene, poi ti tolgono.
in passato, almeno, questa iperproduzione faceva sì che ci fossero dei tempi accettabili.
magari è vero – non ho dati – che oggi sia più facile pubblicare.
ma c’è un dat impressionante: il 40 per cento dei libri pubblicati vende niente.
e io questo gioco, di produrre tanto, di pubblicare o sempre gli stessi o sonore puttanate, mica lo capisco.
ciao, e complimenti ancora
remo
ps ma non capisco nemmeno i piegnistei.
così è, se ci pare
Io non vorrei sempre fare il bastian contrario a tutti i costi ma, davvero, non capisco l’utilità di questa “inchiesta” dell’ovvio e di questa pubblicazione. Esiste l’editoria a pagamento e l’editoria non a pagamento: io ci sto dietro da 10 anni e so bene che è solo una scelta dello “scrittore” e delle capacità obiettive e realistiche intorno a QUELLO scrittore; delle scelte che lo scrittore in questione decide di fare e del vantaggio della casa editrice di pubblicarlo o meno. (e ci mancherebbe anche: la casa editrice è un’azienda, non un maggiordomo che ti porta a spasso il cane.)
Titolare retoricamente un libro “Esordienti da spennare” a me provoca solo un moto di rabbia. Nasci John Fante e nessuno ti spennerà. Nasci Herzog e nessuno ti spennerà. Nasci Aldo Busi e nessuno ti spennerà. Nasci Chandler e nessuno ti spennerà. Nasci Pavese e nessuno ti spennerà. Nasci Steinbeck e nessuno ti spennerà. Nasci Marquez e nessuno ti spennerà.
Nasci meno di questo ed è giusto che ti spennino. E’ legittimo che non ti pubblichino. E’ auspicabile che tu faccia un altro lavoro. Se devi pubblicare, se devi affollare le librerie, se devi entrare nel MIO salotto di casa, non puoi essere nemmeno un gradino sotto il massimo. Se nasci anche un PELO sotto i nomi che t’ho fatto, spero proprio che tu possa pubblicare SOLO grazie a case editrici a pagamento. Che, appunto, sono a pagamento per definizione: a quel punto, nel caso di un libro pubblicato da chicchessia a pagamento, la scelta diventa del LETTORE che sa cosa rischia di incontrare pagando per quel libro e lo fa a suo rischio e pericolo.
(Tutto il resto: la mancanza di scouting eccetera, non c’entra niente col titolo del libro e sono, anzi, argomenti che condivido molto)
[Ste]
@remo: grazie per i complimenti. Non ho detto che oggi è facile pubblicare, ho detto che è più facile rispetto al passato. Sul fatto che sia giusto dare così tanto materiale alle stampe, nutro più che qualche dubbio.
@ste: ti prego di togliere le virgolette al termine inchiesta. Lo è. Se poi a te sembri inutile, è un altro paio di maniche. L’inchiesta è un formato giornalistico che risponde a certe regole. E questo lavoro le rispetta. Il fatto che uno o più lettori la possano ritenere inutile, non ne altera la rispondenza a criteri oggettivi. Azzardo un’ipotesi: forse a te sembra inutile perchè, appunto, segui il tema da un decennio; magari a chi non ha le tue conoscenze e competenze può risultare di qualche utilità. Il punto di vista dettato dalle esperienze personali, a mio giudizio, non è sufficiente per operare generalizzazioni. Infine: è sacrosanto che chi non ha qualità non venga pubblicato; non è scritto da nessuna parte che “editori” in malafede siano autorizzati ad approfittarsene.
Be’, Ste, se uno nasce almeno un “PELO” sotto i nomi fatti, come dici tu, può semplicemente non essere pubblicato, e non finire in un vortice di truffe. Perché è di questo che si tratta. Perché il problema non è solo la richiesta di soldi, ma come avviene la richiesta. Le entrate sono giustificate con presunti costi di sponsorizzazione e distribuzione. Servizi che le suddette case editrici non trattano minimamente. I libri non si vedono in giro, in pratica non esistono, e la maggior parte delle copie stampate deve comprarle lo scrittore stesso. E poi l’editoria in quanto tale dovrebbe essere imprenditoria e investire su un autore.
Solo perché uno è ingenuo e sognatore dovrebbe meritare di spendere 5.000 euro in promesse fasulle trovandosi la casa stracolma di libri che dovrà vendersi da solo?
A questo punto, si autoproduce, come fanno i gruppi musicali emergenti: spende uguale e non arricchisce nessuno.
Giovanotti,
basta con le truffe! Basta con le raccomandazioni! Volete sfondare?
La Stacchia ha indetto un prestigioso concorso letterario per vedere se avete la stoffa giusta… e potrete vincere un prestigiosissimo premio di valore!
http://edizionistacchia.splinder.com/tag/concorso_letterario
Vediamo cosa sapete fare, invece di riempirvi sempre la bocca di paroloni e piangervi addosso!
cordialmente,
Cav. Marcello Stacchia
Comunque se nasci né un pelo sopra, né un pelo sotto Dino Campana, ma nasci proprio Dino Campana, e pubblichi a tue spese i Canti Orfici, chissà se puoi entrare nel salotto di Stefano.
Dipende. Se c’è la Lazio su Sky, io dico che nel salotto di Stefano non può entrare manco Omero.
il libro l’ho letto e davvero non è male.
Il libro è buono e… Stefano, scusa, ma te lo accendi il cervello prima di parlare? Con tutto il rispetto, eh.