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Ernesto Ragazzoni d’Orta
di Lingua predefinita del sito
è allora che vengono fuori,
e, a un fiume che sanno, in pianelle,
s’avviano giù i bevitori
di stelle per bere le stelle.
Questi sono versi “sacri” di Ernesto Ragazzoni d’Orta (1870-1920), il poeta più irriverente, più trasandato, più anarchico e – soprattutto – più dimenticato che abbiamo avuto.
Leggete quel che scrisse quando a Orta, nel novarese, inaugurarono i bagni pubblici.
lodate dunque, culi d’Orta i cieli!
Cularelli innocenti degli asili,
immensi tafanari irti di peli;
culi di tutti i sessi e tutti i stili;
ognuno di voi parli in sua favella,
come le pellegrina rondinella.
(…)
E tu paese mio, Orta, che sogni
tra il lago azzurro e la collina verde,
che, provvido a ogni sorta di bisogni
accogli frati al Monte e in piazza… merde,
esulta, perché il cielo a te propizio
non lasciò mancarti nulla all’orifizio
(da L’apoteosi dei culi d’Orta)
Era anche un giornalista Ernesto Ragazzoni (come me). Non posso non amare questi suoi versi.
E’ finita. Il giornale è stampato,
la rotativa s’affretta;
me ne vado col bavero alzato,
dietro il fumo della sigaretta.
(da Scherzi e Frammenti)
Non era facile, e forse non è facile nemmeno oggi, fare del giornalismo fregandosene dei perbenismi e dei consigli d’amministrazione. Pensato poi in provincia. Ragazzoni, direttore di non mi ricordo più quale giornale di Novara, un giorno se ne uscì con un pezzo in prima pagina contro la burocrazia. Erano… i primi anni del secolo macchinista ferroviere, canterebbe Guccini. Ragazzoni paragonò gli impiegati – allora un ceto borghese – alle vecchie zitelle. E fu licenziato.
Erano anni in cui si rischiava a dire certe cose. Mica come oggi. Eppure lui osò.
Io non vi parlerò di cose strane.
Dirò cose comuni e naturali,
parlerò solo un poco di puttane
e d’altre cose simili morali:
parlerò del davanti e del didietro,
– lettor se non ti piace torna indietro.
* * *
Vergini muse dell’Olimpo antico
Andate tutte a farvi benedire
Perché se udiste mai quello che dico
Obbligate sareste ad arrossire.
Fuggite, o pur tappatevi le orecchie
Voi siete troppo caste e troppo vecchie.
O Signore, io ti ringrazio
d’aver dato al Mondo il vizio
l’alto e solo benefizio
che quaggiù non soffre strazio…
che accomuna in un sol dazio
ogni Caio e ogni Tizio
Che quaggiù ci sia sol spazio
per un cazzo e un orifizio
ognun gridi mai non sazio
fino al giorno del giudizio:
o Signore, io ti ringrazio
d’aver dato al mondo il vizio.
E’ morto a soli 50 anni, Ernesto Ragazzoni. Cirrosi epatica. Disse, cito a memoria, più o meno questa cosa: quando morirò non trattatemi come un uomo di successo qualunque.
Agli uomini di successo, lui, aveva dedicato due versi. Stupendi (che ho voluto riprendere, citadoli e citandolo, nel mio ultimo romanzo).
Eccoli.
Ogni fiore si sente un po’ rosa
ogni fiume si sente un po’ Po.
5.12.2007 6 Commenti Feed Stampa
6 Commenti
Commentagrazie.
se ben ricordo scrisse anche il proprio epitaffio, che doveva essere una cosa così (vado a memoria): qui giace ernesto ragazzoni d’orta. d’essere stato vivo, non gl’importa.
più che dimenticato: a parte il volume einaudi “buchi nella sabbia e pagine invisibili” non si riesce a trovare nulla (nemmeno in libreria ad orta, in cui riponevo qualche speranza).
hai ragione francesca,
su tutto.
l’epitaffio è quello.
sapeva che sarebbe morto di cirrosi, ci fece anche una poesia.
in libreria non si trova. ad orta io trovai solo dei racconti scritti da un nipote di ragazzoni, racconti niente male.
ho un vecchio libro, io.
aggiungo questo, sul linguaggio di ragazzoni.
io, che son (residente) di vercelli ho fatto la tesi su uno scapigliato vercellese, achille giovanni cagna.
che negli stessi anni di ragazzoni scrisse un libro a favore del divorizio: ma non si firmò, e ricorse a uno pseudonimo.
ci voleva, coraggio, ripeto, allora ad uscire dai soliti schemi.
oggi “cazzo” è un intercalare.
allora era blasfemo.
grazie francesca
grazie a te, remo.
aggiungo (e poi taccio) che la carenza di testi, oltre che alla nota smemoratezza del paese, è anche un po’ colpa sua. lodava le pagine invisibili (le cose non scritte, ma solo concepite e lasciate cullare a livello di idea per non tradirne nessuna) e pare desse il meglio di sé in società improvvisando dei nonsense senza alcun timore reverenziale davanti ai rappresentanti della torino bene (nel volume detto si trova in proposito la trascrizione di uno di queste performances, basata su ripetizioni e variazioni del tipo: e scese la neve sulla pieve di pontassieve…)
ecco, questo aspetto mi manca(va), cara francesca.
non sapevo e non so nulla del rapporto che aveva, se ne aveva con l’editoria; so del suo essere assunto e licenziato da La Stampa, delle sue tradizioni di Poe.
so – cosa triste – che a volte qualcuno si appropria delle sue poesie e non lo cita.
ciao francesca
e grazie
ps e mi piacerebbe scrivere un libro storico o su di lui o su un altro grande scapigliato, augusto franzoj
Giovanotto,
ho una sola domanda: ma Ernesto era il padre di Clay?
cordialmente,
Cav. Marcello Stacchia
mi piace , mi piace. sulla scia del giusti, del belli. poeta sanguigno e ruvido. un gozzano incazzato.
limbania