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Un tale del Lazio
di vins gallico
Avevo tredici anni quando con la squadra della scuola media andammo a fare le finali interregionali di basket a Latina. Per un ragazzino provincialotto come me, i cui sogni erotici riguardavano più che altro le cosce elastiche di Michael Jordan, essere selezionato nella squadra della scuola aveva rappresentato un inevitabile passaggio esistenziale, tipo la toga che si beccavano gli adolescenti latini nella vecchia Roma quando diventavano “uomini”.
L’anno prima avevo sfiorato quella fottuta convocazione, ma poi il professore Cuzzola, nostro allenatore e grosso imbecille, mi aveva abbandonato a casa che tanto ne aveva un altro meglio di me come playmaker. L’anno dopo però il nuovo allenatore, il professore Sangemini, mi fece capitano: ero cresciuto di dodici centimetri, avevo cambiato ruolo (facevo la guardia) e, ad essere sinceri, ero diventato una belva. Arrivai alle finali di Latina in una condizione di forma bestiale, alla finale regionale avevo segnato 47 punti e i giornali locali parlavano di me come del talento indiscusso della pallacanestro locale.
A Latina si svolgevano anche le finali interregionali femminili, i miei compagni di squadra allupati non si perdevano neanche una sfida fra quelle stanghe dalle cosce lunghe, mentre io invece facevo esercizi di tiro da tre nella palestra accanto. A vedere le partite di noi maschi venivano poi tutte le ragazze del torneo: sarà ch’era la fase dell’accoppiamento adolescenziale. Io però non avevo ormoni sessuali funzionanti, irretito dall’adrenalina sportiva. Alla fine di ogni partita una marea di ragazzine mi si lanciavano addosso ed in albergo ricevevo costantemente telefonate interne con risatine stridule e voci imbarazzate: a me da un orecchio m’entrava e dall’altro mi usciva, ero là per vincere il torneo e niente di più. Oltre a quelli della mia squadra, l’unico col quale parlavo era un tale del Lazio, di una scuola di vicino Roma, che vedendomi in riscaldamento il primo giorno mi disse: – Costantino, ma che ti hanno bocciato?
Sapeva il mio nome, così pur non riconoscendolo accennai un saluto. Quello, dalla tribuna, urlò come un ossesso: – Lo fai un terzo tempo con palla dietro la schiena e sotto le gambe?
Era una delle mie specialità. Glielo feci. Dietro la schiena, sotto le gambe e canestro. Lui si alzò in piedi e urlò: – Costa, sei sempre il più grande.
Lo incontrai in albergo parecchie volte ‘sto tipo del Lazio e lui mi salutava sempre come se fossimo vecchi amici per la pelle, bella Costa di qua, grande Costa di là e così via.
Il giorno prima della finale, che avevamo raggiunto a fatica – avevo piazzato una bomba da tre a pochi secondi dalla fine del secondo tempo supplementare – , sento bussare alla porta della mia stanza. Avevo chiesto ai miei compagni di squadra di non disturbarmi perché volevo concentrarmi: che andassero a fare bisbocce da qualche altra parte.
– Chi è? – dissi seccato. La porta si aprì ed era quello del Lazio.
– Sei solo? – mi fece dando un’occhiata veloce in giro.
Non ebbi il tempo di rispondere che si era messo in ginocchio davanti a me tentando di calarmi le braghe e biascicando cose tipo: – Fammelo prendere in bocca.
Lo colpii con una ginocchiata al naso. Quello si dimenava a terra insanguinato e urlava: – Perché? Perché sei diventato così?
E allora mi venne in mente che l’anno prima nella squadra della mia scuola quell’idiota del professore Cuzzola aveva convocato un certo Costantino, che tutti dicevano m’assomigliasse un po’ e, negli ambienti del basket, si vociferava che fosse gay.
Per quell’equivoco di merda mi squalificarono dalla finale, motivazione: comportamento antisportivo nell’ambito della manifestazione, sebbene fuori dal campo. E a causa di quell’equivoco di merda perdemmo la finale e io ruppi il naso ad un innocente.
Pensavo.
Ieri ho preso il treno espresso da Napoli a Roma. Una pacchia, erano le dieci di sera e me ne stavo nello scompartimento da solo. All’altezza di Cisterna sale un tipo magrolino, dallo sguardo spento, entra e inizia a fissarmi.
– Libero?
– Prego – rispondo io senza dargli troppa confidenza.
– Scusa – fa lui strizzando gli occhi come per mettere meglio a fuoco – ti posso fare una domanda… non ti chiamerai mica Costantino?
– Sì, ci conoscia… – non riesco a finire di parlare che il tipo mi si getta addosso, slinguazzandomi fra orecchio e guancia, concedendosi un’ardita mano morta sul mio pacco.
– Costa, tesoro mio, quanto tempo – va sbraitando.
Non riesco a trattenermi. Mi tocca rompergli il naso di nuovo.
9.04.2007 13 Commenti Feed Stampa
13 Commenti
Commentae che cazzo vins, Costa poteva anhe dare un appuntamento al tipo del Lazio per dopo la finale. E cosa vuoi che sia una pompa? Vedi che fa fare a essere troppo assatanati di sport? Meglio io che pratico la briscola in cinque. Scherzi a parte: ben scritto, originale, essenziale. Mi è piaciuto… e non ti rompo il naso
vedi che succede a ignorare le ragazzine adoranti…
Sacrilegio! Hai usato il nome Costa anche qui… Ora non posso più associarlo a quel racconto. :( L’hai fatto apposta. Decostruttivista da strapazzo!
p.s. Aggiungo che rispetto al precedente pubblicato su cabaretbisanzio guadagni punti…
in effetti anche nelle squadre di pallanuoto che ho frequentato c’era un intenso scambio culturale fra il settore maschile e quello femminile, specialmente durante i tornei all’estero, quando tutti erano lontani dalle rispettive famiglie.
l’unico pericolo era quando l’interesse non veniva ricambiato.
non è bello vedere una gentile signora e la sua ragazza pestare un giovanottone…
bel racconto vins
ilaria, non per smontarti ma quasi tutti i protagonisti dei racconti/romananzi di Gallico si chiamano Costa/Costantino
Bel racconto che trama in pochi momenti drammatici le trepidanti tensioni erotiche di un giovinetto timido che vive tra i suoi sogni eroici, eroe lui stesso.
Delicato l’accenno all’eroe, grecizzato nella sua plasticità – le cosce elastiche di Michael Jordan – quanto ruvida ed efficace la descrizione del protagonista, eroe a sua volta rapito dall’impresa, impresa che il fato gli sottrae come quasi una punizione divina. Antico e moderno, tragico e introspettivo, fatale e banale si incontrano in queste poche ma efficaci righe in cui l’indecisione, adolescenziale si fa paradigmatica, e la scelta anzichè significare la libertà si fa condanna, cioè destino: il rinnovato incotro in treno con lo stesso amante appassionato.
Cosa ci vuole dire l’autore? Forse che non ci si può sottrarre al proprio destino?
brunilde… doh’ (manata in fronte alla homer simposon) stavo cercando di dimenticarlo… me tapina :(
ma io tutte quelle cose pensavo mentre lo scrivevo? mio dio, al kurtz, grazie, dimmi quanto ti devo… anche se jordan forse era troppo magro per la grecità e quella lingua troppo futuristica.
Ti dirò, Vins, da quello che mi è parso di capire sperimentando la variegata qualità degli altri commenti presenti anche su questo blog, non è tanto importante cosa uno voglia dire, ma quello che gli altri capiscono: cosa che di per se crea sempre una certa qual ansia in chi scrive: “Ma sarò stato veramente capito?”.
Il mio commento è stato un puro esercizio, il tentativo di dare un senso ad una storia che:
“fin da subito disattende le aspettative create nel lettore: il protagonista nel corso della storia non solo rivela la sua omofobia puramente pregiudiziale, manifesta una misoginia oltreadolescienziale, ma risulta il puro pretesto per un finale che di cinico ha solo una intenzione, non una realizzazione. Insomma con una prosa stentata trascini all’ultima riga un personaggino debole, inconsistente, incongruente.”
ps
se mi paghi però posso scriverti le quarte di copertina.
*simpson…
vabbe’ s’era capito.
Vins. Che forse ci sta una morale nei tuoi racconti e non me ne ero accorta? (a parte il fatto che ti piace il nome costa, ma ti propongo tobia tanto per variare) finite parentesi tonde non inizio con quelle quadre altrimenti non mollo più.
Pensi che possa reggere al vaglio della censura?
Bel racconto, Vins. Io preferisco però Oceano+Costa. Comunque, Costa è proprio un bel personaggio.
lo vedi? lo vedi? a tutti piace “quel” racconto. non sono l’unica che lo apprezza. sono savia. e sana di mente. ancora per un po’. :D