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Roberto Di Egidio, “La mia Waterloo ventricolare”
di Elisa Bolchi
Ci vuole coraggio per scrivere oggi, in questo paese. Il coraggio di esporsi, di affrontare la frustrazione, la noncuranza, le aspettative disattese. E tutto questo quando si scrive prosa, prosa di facile lettura. È semplice quindi immaginare quanto coraggio occorra oggi per scrivere poesie, in questo paese, dove a fatica la poesia si studia a scuola. Roberto Di Egidio ci prova, prende il coraggio a quattro mani e scrive, e pubblica. Con una veste editoriale di tutto rispetto, quella cucitagli addosso dalla Neo edizioni, che cerca autori i quali, appunto, non abbiano paura di osare e propongano una scrittura che “si discosti di una spanna almeno dalla cautela del panorama editoriale italiano”. È anche questo che collabora a rendere questa snella raccolta un piccolo libro simpatico e accattivante da tenere sul tavolino del salotto come scusa di chiacchiera con gli amici.
Dico simpatico perché trovo che sia questo uno dei punti forti della raccolta: la simpatia con cui Di Egidio affronta la vita. Si prende sul serio, ma sempre con ironia, e così anche la critica sociale, che emerge tra le righe in maniera mai demagogica ma naturale, come in una conversazione tra amici, risulta leggera e godibile. L’intera raccolta è di fatto godibile come un libro di prosa, e le quattro sezioni in cui si articola sono coese come agili racconti e altrettanto piacevoli alla lettura.
La prima di queste, ad esempio, intitolata Cefali, la si comprende appieno dopo la lettura della postfazione, forse una delle poesie più belle, pur essendo prosa. La seconda, invece, Il sesso, l’amore, l’odio, la mancanza è sofferta con ironia, come accennavo prima, e questo la rende particolarmente vera e tangibile. Troppo facile sarebbe scrivere dell’amore e del sesso in versi, e allora Di Egidio gioca con le immagini per portare, ad esempio, l’amata all’altare come un medico condotto alle prese con la sua malattia prediletta; e così il senso di morboso attaccamento cui ci spinge l’amore, che ci porta a sezionare e ad amare ogni singola porzione del corpo dell’altro, ci appare chiaro e vivo.
La raccolta porta anche una sorta di traccia fantasma. Una poesia quasi dimenticata, nascosta da una pagina bianca che segue la postfazione (e qui onore alla Neo, che per una volta non risparmia carta ma comprende il valore degli spazi, delle soglie), e che è forse quella che preferisco, magari perché, appunto, ne ho “gli occhi ancora sporchi”.
Giudizio: 5/5
16.04.2010 1 Commento Feed Stampa
1 Commento
Commenta…dalla recensione “una delle poesie pi… Mostra tuttoù belle, pur essendo prosa…”, non so affatto cosa si intende… beh, onore alle scoperte tardive: Rimbaud ne fece un libro (LES ILLUMINATIONS) sulla cui onda lunga ancora oggi non si riesce a cacciare in testa agli editori che una cosa presentata in un modo non significa QUEL modo e si rischia (ahimè, come successe allo scrivente) di non cogliere la densità “poetica” principe in una prova letteraria solo perché presentata in una forma per cui l’occhio si aspetta la prosa, dunque sviluppo, intreccio, evoluzione, personaggi ecc ecc, insomma quella prosa vacua, sciatta, piatta, sgraziata che oggi spacciano per la narrativa dei nuovi credenti…
e, per inciso, un libro non si dovrebbe tenere sul comodino del salotto per farne oggetto di chiacchiere, non si dovrebbe in realtà tenere in mostra qualcosa che per sua natura dovrebbe graffiare a sangue…