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Domu
di Blicero
Il cappellino di Takeshi è veramente bello, sai, con quelle alette appiccicate ai lati. Già, sembrano d’argento. Però Takeshi è anche uno stupido, è così goffo in tutto quello che fa, cade continuamente dallo skate. Forse è per questo che si è buttato dal decimo piano? Takeshi si è sfracellato al suolo, all’ombra dell’enorme complesso popolare Tsutsumi, alla periferia di Tokyo.
E’ solo l’ultimo di una lunga serie di suicidi. Il venticinquesimo in tre anni appena. La polizia non può più stare a guardare, è costretta ad aprire un’indagine ufficiale. Detective Takayama, il caso è tuo.
Inizia così Domu1 (1980-1983), opera “minore” – nel senso di meno conosciuta – di Katsuhiro Otomo, autore del rinomato manga ed anime Akira. Ma mentre quest’ultimo è un’epopea che si snoda in migliaia di pagine, animata da miriadi di personaggi, sconvolto dall’ossessione per la bomba e calato in una società post-apocalittica, Domu è invece un manga più intimo, conciso e circoscritto.
Tra le fonti d’ispirazione di Otomo c’è stato, per ammissione dello stesso, un articolo sulla depressione che all’epoca (e purtroppo ancora oggi) si radicava negli abitanti di questi immensi caseggiati, catalizzatori di disagio sociale, di povertà e di emarginazione2. La questione, tuttavia, non è centrale nel manga: sta in retroscena, è vista sotto una lente anamorfica. Così come lo è, del resto, la questione dei suicidi3, mero pretesto per la storia.
La vicenda di Domu, infatti, è tutta incentrata sulla maturità e sulla digressione mentale nei vari stadi della vita. Molti dei personaggi presenti nel manga sono in uno stato cerebrale arretrato, fanciullesco, crepuscolare: Tsutomu è un ragazzo che non riesce a crescere e ad entrare nell’università; il padre di Hiroshi è perennemente ubriaco; “Little” Yo è un gigante con il cervello da infante; il signor Cho (l’artefice dei suicidi) è un vecchio raccoglitore di cianfrusaglie apparentemente innuocuo, ma che in realtà si diverte ad usare i suoi strani poteri psichici per uccidere gli abitanti del complesso ed impossessarsi dei loro oggetti.
La storia cambia quando entra in scena Etsuko, una bambina trasferitasi di recente nel condominio, con la famiglia. Anche lei è dotata di poteri paranormali; a differenza del vecchio, però, è consapevole dell’enormità di quei poteri, ed è dunque in grado di tracciare una linea, seppur approssimativa, tra il bene ed il male. Tra i due scoppia una specie di contesa, un gioco letale tra l’irresponsabilità senile e la maturità infantile. Un climax travolgente che inevitabilmente sconquasserà ancora di più il complesso, fino alla resa dei conti finale.
E’ qua che Otomo realizza il gioiello narrativo e stilistico: lunghi piani sequenza privi di dialogo sui volti dei due antagonisti, tavole che vanno a ritrarre l’intero spettro delle emozioni, scene ovattate prive di sonoro. Il tutto mentre la realtà circostante, spaziosa e claustrofobica, si incrina (splendidi i riquadri di Etsuko sull’altalena) sotto i colpi delle folli fantasie oniriche.
Sogni che rimangono scolpiti, indelebili, nell’impero della mente. Indimenticabili come Domu, il sogno di un bambino.
- Domu è un nome composto: do significa bambino; mu significa sogno. [torna su]
- Su un tema simile, avuto riguardo delle differenze culturali ed ambientali, J.G. Ballard ha scritto il romanzo “Il Condominio“. [torna su]
- In Giappone c’è sempre stato uno stillicidio di suicidi. Molte morti sono legate a difficoltà economiche: alcuni si tolgono la vita per levare dalla miseria i parenti, grazie alle assicurazioni sulla vita; altri (la maggioranza) perchè rimasti senza lavoro. In Giappone, bruciata la prima chance, è praticamente impossibile reimmettersi nel mondo del lavoro. Oltre alle questioni sociali, la tradizione samurai vede il suicidio come un gesto nobile; le religioni principali (buddismo e shintoismo) assumono una posizione neutra in merito al suicidio. [torna su]
1.07.2008 7 Commenti Feed Stampa
7 Commenti
CommentaNutro verso i manga (e verso tutta la produzione culturale giapponese in generale) una profonda e ingiustificata diffidenza. Sono cresciuto, come tutti i trentenni (magari) di oggi con i cartoni di Mazinga e Geeg Robot, ma i fumetti giapponesi non li ho mai neppure sfiorati. Non so perché. Quando penso al Giappone (e all’Oriente in generale) ho sempre la sensazione di trovarmi di fronte a cose aliene, totalmente slegate dalla mia realtà quotidiana di europeo occidentale. E’ sicuramente uno sbaglio, ma per ora non ho mai sentito il bisogno di andarmi a comprare un manga o un film o un libro giapponese. Boh.
Quanto ai suicidi per chi perde il lavoro: chissà che fine farà quest‘insegnante. Onore al compagno nipponico, caduto nella battaglia per l’imbrattamento dell’odiato nemico guelfo.
Brigate Antifiorentine, colonna Pisana “Torre Pendente”
@Sauro, non sai che ti perdi. Soprattutto con Otomo. Io non ho letto suoi fumetti, ma ho visto Akira ed è fantastico. Ovviamente il fumetto si dice sia di gran lunga migliore. Per quanto riguarda i film, o anime, non puoi non vedere Ghost in the shell. Capolavoro della fantascienza. Ancora devo vedere il due, ma l’uno era sensazionale. Inoltre ci sono un casino di serie animate, che in italia poi arrivano quasi per nulla, che valgono veramente la pena. Non so se hai mai visto il cartone di Berserk, lo facevano su Italiano 1 a mezzanotte (era violento).
Di fumetti il giappone ne sforna troppi, forse, ma parecchi sono chicche.
Ma sì, infatti la mia è proprio pigrizia intellettuale. Conosco un mucchio di gente che mi parla benissimo dei fumetti e dei film d’animazione giapponesi. Rimedierò, perché il Mulo è mio amico.
Sembra molto bello, grazie per la segnalazione. E’ pubblicato in Italia e/o reperibile in italiano?
@irene: OT. Noto dal link che il tuo blog è ancora vivo. Ma avevo capito che era chiuso e che ormai ti dedicavi alla tumblerologia applicata! Queste donne son proprio volubili.
L’avevano pubblicato con Repubblica tempo fa. In fumetteria dovrebbe esserci, comunque, altrimenti ebay extrema ratio.
Sul mulo ed il torrente si trova comunque (in inglese).
(@Edo: “vivo” è un po’ troppo, è più appropriato “in coma farmaceutico” ;) )
@Leonardo: uh, grazie,lo cercherò nella versione-repubblica. :)