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Ci salverà il “ciambellone”?
Sabato 7 giugno sono stata ospite di una rassegna dal nome interessante e anche un po’ inquietante, Le Ovarole, incontri con signore.
Non ne scrivo per farla conoscere o per una sorta di ringraziamento del day after : sta per terminare , sono stata una delle ultime ospiti e la serie di incontri, che avvengono a rotazione in 2 0 comuni della Romagna, è al quarto anno di vita e ogni anno si amplia, aggiunge riconoscimenti e patrocini. Le mie righe non aumenterebbero nulla, e un minuetto del genere non avrebbe alcun senso, non è proprio nella mia natura( come non lo è stato, in certi casi, scrivere invettive di fuoco dopo la partecipazione a rassegne o a microfibre editoriali sulle quali è meglio stendere un velo pietoso). Niente di tutto questo. L’incontro mi ha portato a riflettere su una cosa. Mi è rimasta in testa, non c’è stato verso di farla andare via. Premessa. Si svolgeva in un ex macello di uno di questi comuni romagnoli partecipanti, Gambettola. Un’area in fase di restauro e riqualificazione affidata alla gestione di una associazione culturale. Siamo arrivati che non era ancora buio, le due organizzatrici stavano aiutando a sistemare i tavoli. Il paese era praticamente deserto e, per tutta la giornata, si erano alternati spruzzi di pioggia a umidità soffocante a un sole quasi irreale. Il crepuscolo era sereno ma di una malinconia terrificante. Sapete quando il cielo vi impicca? Ecco. Una roba da pensieri nerissimi, quasi da suicidio. Sono entrata e ho scambiato poche parole con le due organizzatrici, Leli Nottoli e Lelia Serra. Loro erano stanche, essendo il tutto iniziato a marzo e destinato a terminare il 29 giugno, immagino lo sforzo di tenere insieme ogni cosa: rapporti con le amministrazioni, ospiti a volte un pochino viziate, gestione degli eventi, anche solo le sedie e i tavoli da sistemare. Io ero stanca ma soprattutto stranita, mi infastidiva la vasca dove, mi hanno spiegato senza che io lo sollecitassi, devo dire la verità, veniva cotto il maiale per farne poi il sanguinaccio, una cosa che non conoscevo nei dettagli( e potevo continuare a ignorare) :è un dolce in Romagna( un dolce, esatto) e una pietanza in Liguria, come mi ha spiegato Lelia Serra, genovese, attrice. Mi pareva di sentire le urla di quegli animali, di percepire la loro paura. Ho terminato da poco la lettura dell’ultimo libro di Coetzee “Diario di un anno difficile” e in un punto il grande scrittore si sofferma sulla macellazione e scrive:” Un reporter con una telecamera nascosta nello zaino ha ripreso le scene del bestiame cui vengono recisi i tendini delle zampe posteriori in modo da renderne più facile il controllo; il reporter poi diceva di avere filmato alcune scene troppo raccapriccianti per essere trasmesse di una bestia pugnalata in un occhio, col coltello profondamente immerso nell’orbita..”
Ecco. Ero lì e queste parole mi salivano nello stomaco come un rigurgito e nello stesso tempo volevo e dovevo essere gentile, e si avvicinava l’ora d’inizio e non c’era ancora nessuno. Un disagio enorme. Ma perché mai fare tanta fatica, mi dicevo, che malinconia, che angoscia esistenziale. Le due ospiti stanche mi hanno allungato un pezzo di piadina e poi mi hanno mostrato due ceste: ciambellone, ciliegie e , in un angolo, alcune bottiglie di sangiovese. “Per dopo” mi hanno detto. “Facciamo sempre così alla fine di ogni incontro. Offriamo queste cose, perché la gente si fermi e parli, condivida con noi, magari brindi”. Mah. Ero molto scettica. Solite cose, solite vane speranze di aggregare, di coinvolgere.
Nel frattempo sono cominciate ad arrivare tante persone ( per me più di 50 persone a una iniziativa con presentazione di un mio libro un sabato sera sono davvero un buon risultato) . Abbiamo cominciato. Lelia Serra ha prospettato il ciambellone finale e il sangiovese. Io ero con il mio editore e abbiamo parlato, più che altro ho parlato io, come al solito, un po’ logorroica e un po’ cabarettista nell’anima, cercando di non annoiare troppo, di alleggerire, di toccare argomenti che non fossero i soliti, il consueto grattarsi l’ombelico ed esibirsi come a un museo delle cere, no. Vado a braccio, improvviso, piroetto. Un po’ di tutto, saltando, sudando anche, perdendo il filo ( gentilmente aiutata a ritrovarlo dall’editore) Vedere tutte quelle persone, signore in maggioranza ma anche signori e non pochi, era gradevole. Molto attenti e ricettivi, avevano fatto perdere a quel desolato ex macello l’aspetto cupo che avevo trovato arrivando, anzi, era proprio dimenticato, c’erano visi, colori, abbracci, saluti, risate e molti applausi Alla fine, quasi tutti si sono fermati. Le organizzatrici hanno offerto il famoso ciambellone, ma sono andate forte anche le ciliegie e il vino. La gente non aveva voglia di andare via, si capiva. Indugiavano, mangiavano, il tutto con una naturalezza che aveva un sapore antico e nello stesso tempo inconsueto e molto bello: si parlava dei temi sollevati da me( tutta la rassegna quest’anno ha come motivo conduttore il corpo) e anche di altro. Si percepiva un grande piacere, non falso, non carico di minuetti, non esibito o esibizionista, di stare insieme. Nessuno, ma proprio nessuno( cosa rara, anzi diventata rarissima) mi ha parlato di romanzi nel cassetto, nessuno mi ha detto “io scrivo” cosa che mi aspetto sempre, anche quando vado dal droghiere, perché , come si sa, è diventata comune quanto dire “mi dia il prezzemolo”. Durante la presentazione avevo sottolineato le difficoltà dell’editoria, il fatto che, quando un paese si impoverisce, quando le persone faticano ad arrivare a fine mese, la prima cosa che si taglia sono i consumi culturali. Chiaro, meglio una bella spesa abbondante che andare a teatro o che spendere 12 euro e 50 in un libro. Bene, in quell’ex macello era avvenuto, stava avvenendo qualcosa che aveva a che fare con lo scambio di idee, con la condivisione, con l’apertura dello sguardo, con il consumo culturale nel senso più vasto. Non influiva sui bilanci, era tutto gratis, il cielo era diventato di un bel blu luminoso e il sangiovese scorreva con piacere, scaldando stomaco e guance. Sarà il ciambellone, forse, a far ritrovare il piacere degli incontri, il pulsare dello stare insieme, fuori da auto rappresentazioni, finzioni e iniziative di cellophane?
20.06.2008 17 Commenti Feed Stampa
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CommentaPotreste chiedervi cosa intendo per “microfibre editoriali”. In realtà all’inizio volevo scrivere “microfiere”. Però mi piaceva. “Microfibre” contiene tutte le micro cose editoriali, le rassegne, le fiere, le esibizioni, le presentazioni. E’ una parola -contenitore. Mi è sembratata adatta, anzi, ho trovato gratificante la pirotecnica capacità espressiva della mia prosa.
Oh, mon dieu, quel ciambellone, e quel sangiovese. non ho potuto approfondire il discorso come avrei voluto, causa pullulare sulle strade romagnole -il sabato sera- di etilometri.
ma è stato emozionante approfondire gli aguardi e le parole delle persone, i sorrisi e l’attenzione, in un macello di energie strane che si sono riscaldate e mescolate col farsi dei minuti, con i miei occhi che guardavano ogni due per tre i fori di scolo, a terra, quelli per il sangue, credo.
c’era interesse e voglia di ascoltare, esperienza da ripetere, specie perchè non avrei mai creduto che si potesse superare un’ora e mezza di presentazione, sempre con attenzione, mentre incombeva sul fondo quel meraviglioso ciambellone salvifico. :-)
Lui sarebbe- anzi è- l’editore. Quello che più volte in mezzo a tutte le signore-ovarole mi ha aiutato a non perdere il filo. Ha aggiunto, chiosato, poposto dei “dietro le quinte” su come si può lavorare, anche bene ma bene davvero, su un libro, con gioia. E fra fili non perduti e il “lapsus- non lapsus” delle microfibre, sono sempre più convinta che le cose fatte bene abbiano a che vedere col tessere, col coltivare, curare, intrecciare. Mi sento, a dire il vero un po’ Penelope.
Lavorare con gioia. C’è qualche nesso causale col Sangiovese?
“Nessuno, ma proprio nessuno( cosa rara, anzi diventata rarissima) mi ha parlato di romanzi nel cassetto, nessuno mi ha detto “io scrivo” cosa che mi aspetto sempre, anche quando vado dal droghiere, perché , come si sa, è diventata comune quanto dire “mi dia il prezzemolo””
Questo pezzo mi ha infastidito non poco. C’è dentro tutto lo snobismo di chi “c’è riuscito” verso chi ancora no (e forse mai), al di là del fatto che lo meriti o meno.
Non dico che si possa o, tanto meno, si debba star dietro a tutto e a tutti, ma ogni tanto forse chi ha “saltato il fosso” dovrebbe fermarsi a pensare che tra quegli apparenti (o reali) scocciatori potrebbe anche esserci qualcuno che scrive cento volte meglio di lui/lei.
A mio modo di vedere mettere nella stessa pagina queste parole e frasi come “in quell’ex macello stava avvenendo qualcosa che aveva a che fare con lo scambio di idee, con la condivisione, con l’apertura dello sguardo, con il consumo culturale nel senso più vasto” denota una certa impudicizia se non proprio un totale sprezzo del ridicolo.
E dire che ho famose amiche scrittrici (non faccio i nomi sennò la Mazzucato impallidisce e non mi rivolge più la parola, e io che speravo di rimorchiarla…) che pur dall’alto della loro spocchia non scriverebbero mai cose del genere. Sì, dev’essere stato proprio il Sangiovese. Io sono mezzosangue romagnolo e posso confermare che questa diabolica bevanda allenta i freni inibitori più di altre. Sarà stato quello. Anche l’Albana, però, non scherza.
Non intendeva essere sprezzante, se ti ha infastidito Luca pace, ma hai letto dello snobismo con un pizzico di cattiveria.
Tutte le volte che posso rispondo, leggo manoscritti continuamente, aiuto, suggerisco, propongo. Per quel poco che posso aiuto sempre, certo se trovo persone che scrivono bene – che scrivono in un modo che mi piace, meglio- In quel caso cerco di fare quel poco che posso.
Non esiste “esseci riusciti” pensarlo è ingenuo. E’ sempre un ricominciare, è costantemente un faticare e un rimettersi in gioco. In ogni caso.
Ci sono luoghi e posti dove le persone ti portano i loro libri autostampati, i loro racconti, dove insistono e insistono e insistono per avere una mail o un cellulare, posti che non sono proprio adatti e dove l’interazione diventa sgradevole. Posti dove occorre concentrarsi su altro e non sul proprio ombelico. Se ci si va, magari sapere anche ascoltare.
Questo volevo sottolineare raccontando la serata e se uno non ci mette malizia lo capisce. Se vuoi vedere spocchia o snobismo, o qualsiasi altra cosa, prego. No problem. Sullo sprezzo e sul ridicolo scusa, secondo te perché scriverei qui se non amassi il rischio? Nessuno si esporrebbe a commenti come i tuoi o a quelli di Ballardini se non avesse una insano gusto di questo tipo.
Ti pare?
Io penso sempre che i libri degli altri siano meglio dei miei. Sempre. E se ti informi prima di esibire la tua irritazione, vedrai che ho sempre rivolto attenzione a esordienti, piccoli editori, riviste underground e tutto il resto. Persino troppa, ti dico la verità. Hai sbagliato bersaglio, credo. Se cercavi un bersaglio cosa che appare, ma lo so, certe giornate sono così, hai voglia di un bersaglio e lo trovi, va bene, non guasta il mio buon umore, il tuo forse è già guastato. In questo caso pezzo, forse non traspare a te, ad altri si, volevo solo esaltare un’iniziativa molto bella che alcune persone allestiscono con fatica e impegno. Era ed è un pezzo dedicato a loro. Un omaggio.
Ballardini, non che ti riguardi, ma sono astemia. Grazie per l’attenuante, delicata e chic che hai cercato di trovare , sono felice che tu abbia tante amiche, che siano o meno scrittrici. Ti terranno compagnia.
Mazzucato, quando scrivi “il sangiovese scorreva con piacere, scaldando stomaco e guance” sembra quasi che tu ne abbia bevuto eccome. Se non è così, se sei veramente astemia (ma consentimi ancora il beneficio del dubbio, lasciami sognare) mi dispiace tremendamente da un punto di vista enologico, ma mi entusiasmo da un punto di vista letterario. Salgari ti fa un baffo.
Intendevo negli stomaci altrui a riprova che l’astioso Pettinelli si sbaglia lasciando intuire che non mi curi della gente, in ogni senso.
Non sono nata astemia, Ballardins, ho smesso nel 2004. Mi piaceva, eccedevo a volte,mi concedevo notti alcoliche quando ne avevo voglia. Senza alcol sto meglio e ci sono rimasta. Se hai letto qualcosa antecedente al 2004 è pura realtà- e ne narro di robe dove l’alcol c’entra eccome. Se no, nelle cose più recenti sono vaghe reminescenze anche perché l’età avanza.
Bevo coca light, anzi zero, perché oltre a snob e spocchiosa mi piace essere trendy,( e molti fanno dei distinguo fra la coca light e la zero anche se di fatto sono uguali) e del crodino( che trendy non lo è affatto) ma a me piace molto.
Sigh… ma così mi innamoro…
Ma io non sgradisco. A me piace sempre, che mi si ami o mi si odi. Che mi si lusinghi o che mi si vomiti astio o fastidio. Mi va sempre bene.
Quindi va bene
Faccio un off topic come si dice
Tanto sono stata accusata di orrendo comportamento inadatto e irritante e nulla può peggiorare.
Da ierinotte- stamattina ho un myspace
qui
http://www.myspace.com/francescamazzucato
Io ne capisco ancora il giusto ma mi hanno spiegato- mio figlio che ha 22 anni mi ha spiegato- che è come un muro dove mettere quello che si vuole, dove fare murales graffiti, dove rovesciare quello che si crede e poi andare a vedere i muri degli altri.
Beh, per i detrattori, se qualcuno vuole venire a “sputare” sul mio myspace o invece, aggiungermi come amica, sarebbe bello.
Fatelo.
Anche Luca, se ce l’hai, io dimentico. Non faccio caso. Sul momento ti avevo confuso con Stefano Sgambati( non so perché), l’autore di un racconto davvero magistrale e mi dispiaceva un pochino, ma avendo chiarito che si tratta di due persone diverse, ora è tutto ok. Perfetto. Venite al mio myspace e scusate lo spocchioso off topic
Pettinelli non te lo perdonerà mai di averlo confuso con il sottoscritto :-))
[Ste]
Ma ha già lasciato un commentaccio, quindi peggio non posso fare
Piuttosto tu non dovresti perdonarmi per la confusione! Sono ancora sotto l’incanto del non più giovane Holden, non mi facevo l’autore di una cosa simile così – spero con una punta di ironia, ma chi può dirlo – malizioso, stizzoso. Non ci stava. Scusa per l’equivoco nome,leggendoti mi ero concentrata più sul testo. Cosa che succede quando si leggono cose così: da ricordare. :-)
Il commentaccio te lo sei cercato. Poco mi importa cosa fai nel privato, non sono certo tenuto a saperlo.
Fatto sta che da quelle precise parole si percepisce quel che ho riportato.
Non puoi sparare qua sopra la prima cosa che ti viene in mente poi addurre la tua virtù, per altro esibita altrove, a riprova del mio errore. O, meglio, puoi, certo che puoi, poi però non lamentarti dei commentacci.
Poco mi cale anche del fatto che dimentichi o meno. Ti garantisco che dormirei saporitamente anche in assenza del tuo illuminato perdono.
Lasciami addurre la virtù. Sono talmente poche le occasioni e poca anche la virtù stessa.