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Non distogliere il fuoco da Il Divo
Con Il Divo, ho visto tre film su quattro di Paolo Sorrentino (gli altri due sono Le conseguenze dell’amore e L’amico di famiglia) e devo dire che è costante nel regista un certo atteggiamento autofellante. Si piace e non lo nasconde. Qui fa l’inquadratura dal basso con obiettivo panoramico, qui accelera o rallenta, qui riscalda e raffredda i colori, qui veste i panni del dj, giocando con la musica. Sorrentino è il cane che piscia sul territorio del cinema d’autore, con sulla testa un cartello luminoso che con il caps-lock premuto urla “IO HO PERSONALITA’!”. E di personalità ne ha davvero, tanto da fare carta straccia delle attese dello spettatore giunto in sala con l’accomodante atteggiamento di chi vuole imparare qualcosa sulla vita di Andreotti. Sorrentino non è il Francesco Rosi dei film inchiesta, ma il David Fincher che prende un breve periodo della vita di uno dei personaggi più complessi della nostra storia repubblicana per buttarlo in pasto all’iperrealtà surreale di un videocilp fortunatamente ancora non rintracciato dagli infausti autori di Brand:new di MTV, dando vita a un elettrico bestiario politico tanto caricato quanto reale.
La corrente andreottiana della DC. Un corollario di personaggi tra l’onirico e la caricatura, introdotti come dei gangster usciti da Le Iene di Tarantino, si fa largo dopo un ritmo serrato di morti illustri, e quasi ti sembra una presa per il culo. O forse lo è davvero, perché questi buffi Cirino Pomicino sono solo giocattoli strumentali con l’unico scopo di dare maggior peso alla figura del Divo Andreotti. Più loro appaiono ridicoli e grotteschi, più Andreotti acquista spessore.
Ecco, questa è un’altra cifra stilistica tipica di Sorrentino, che al respiro corale preferisce personaggi centrali cinici e misteriosi ma non per questo meno carichi di ironia e umanità.
L’Andreotti interpretato da Servillo, frullato misto dei vari stereotipi consegnati da Noschese, Montesano e Lionello, è questo: un grande burattinaio in crisi, che si nasconde dietro una maschera di gelo e ironia. Non a caso il periodo rappresentato è quello più difficile per il sette volte Presidente del Consiglio, tra caduta del governo, Tangentopoli, batosta alle votazioni al Quirinale e inizio dell’iter giudiziario tra Palermo e Perugia, con quell’incessante Memento Moro, atroce più di tutte le sue emicranie.
I personaggi comprimari, in compenso, spesso appaiono quasi ridicoli e acquistano una dimensione solo grazie ai titoli rossi che li introducono. Basta ricordare l’ingresso in scena di Giancarlo Caselli e la spruzzata di lacca sulla chioma grigia. Lo stesso vale per Badalamenti e la presentazione dell’avvocato ai giudici di Palermo (Nella vita tre cose sono sicure: la morte, le tasse e il silenzio di Badalamenti).
Anche gli interrogatori sembrano troppo paradossali per essere veri. Di nuovo la sfera onirica che supera quella della realtà.
Inoltre, il film ha macroscopiche omissioni, troppo evidenti per non essere volute. Craxi viene appena nominato. De Mita, mi pare, neanche quello. Niente deve distogliere la focale dal Divo, anche se il risultato può apparire frettoloso.
L’impressione è che Sorrentino si faccia tentare dal desiderio di calcare la mano. Ci sono scene surreali di grande effetto che però sono un evidente marchio di fabbrica, come a dire “Ehi, questo skateboard che entra nei corridoi del Parlamento attirando tutta l’attenzione l’ho voluto io. Geniale, no?”
La tentazione di fare il definitivo salto di qualità a tratti ha scavalcato la giusta misura per gestire un materiale così complesso. Il prodotto finale è comunque un film energico e dinamico, dal taglio molto originale, che difficilmente non lascia il segno. Nel bene e nel male.
“Si può dire che esteticamente è bello, ma a me dell’estetica non frega un bel niente”. Giulio Andreotti
6.06.2008 16 Commenti Feed Stampa
16 Commenti
CommentaEdo, ho visto il film e condivido a pieno il tuo giudizio: un film macchiettistico e autoreferenziale (inquadrature a campo lungo, luoghi geometrici, musiche elettroniche etc.). uscendo dal cinema mi è venuta in mente una frase di Monicelli, che disse: il problema dei giovani autori italiani è che non lavorano, ma capolavorano.
Sorrentino è Tarantino che guarda Porta a Porta.
Gli americani non si annoiano, i ragazzini scoprono che Andreotti non è solo un personaggio del Bagaglino, e il cinema italiano rinasce…
Il bello è che Sorrentino dice più o meno: Non ho voluto esprimere alcun giudizio morale su Andreotti…
Ecco, bravo Sorentì, un bel democristiano coi fiocchi.
Però secondo me Andreotti non ne esce così male dal film. Ne esce come uno un po’ zozzo, uno zio metodico e acciaccato, un parente furbo che fa gli interessi del clan, uno che non sfoggia ricchezza nè potere, nato “povero”, in confidenza coi contadini, che si preoccupa che quel farmaco rimanga disponibile gratis. E poi, certo, uno un po’ zozzo. Ma probabilmente non tanto di più di tutti quelli che hanno fatto e fanno politica in questo Paese: diciamo zozzo in modo direttamente proporzionale alla sua carriera politica (prob. il politico più importante del dopoguerra e fino a tangentopoli). Uno informato dei fatti.
Il film è bello, sicuramente raro e originale per l’Italia, però l’ho trovato anche didascalico, e secondo me uno straniero non ci capirebbe niente…
non racconta una storia e questo è il suo difetto.
@Mix: oddìo, il mio giudizio non era così estremo. Diciamo che esprimevo delle riserve, tra l’altro maturate a freddo, anche nella stesura stessa del post. L’ho guardato con piacere, non credere. Ma alcuni difetti mi sembravano evidenti. Ammicca molto a un cinema americano che mi piace. Ma anche lui si piace, diciamo. D’accordo sul capolavorismo.
Rimango dell’idea che Sorrentino sia un gran regista. Ho però apprezzato molto di più “Le conseguenze dell’amore”. Anche lì si piace, ma il film è più corposo e concreto.
@Filippo: la definizione di Tarantino che guarda Porta a Porta mi piace, anche se non credo sia del tutto vero. Il film non è un film disinformato (guardare Porta a Porta è disinformazione pura). E’ un film che punta a mitizzare attraverso una nuova dimensione surreale.
Sorrentino, a quanto ho letto, ha usato più che altro il “Non voglio esprimere giudizio politico” come paravento, per scappare da chi gli poneva di fronte critiche su alcune debolezze “politiche” del film. Ma il giudizio politico c’è. Il film finisce con Andreotti piantato di fronte alla sue responsabilità di cittadino (sebbene sappiamo tutti com’è finita). E poi l’immaginario monologo sulla “necessità del male per mantenere l’ordine” è un giudizio politico eccome. Per approfondimenti ti consiglio il post de La Privata Repubblica.
@Marco. “Però secondo me Andreotti non ne esce così male dal film.” Appunto, è proprio questo che non mi è piaciuto del film. Non il linguaggio visivo, che è accattivante, e ammiccante, come dice Edo. Però in questa sospensione di giudizio Sorrentino è troppo assolutorio. Non ci credo che Andreotti è uno che parla solo per epigrammi sibillini, battute salaci e ciniche sentenze. Sembra il capo della Spectre di Austin Powers. Sul fatto degli stranieri, che uno straniero non ci capirebbe niente ho i miei dubbi (difatti Sean Penn lo ha amato), perché non c’è niente da capire. Solo da guardare, non è Il caso Mattei. E’ Il divo.
@ Edo: Non sono molto d’accordo sul giudizio politico. Essere giudicati da un tribunale non è un giudizio politico. E’ un giudizio laico. Se il giudizio di un tribunale rappresenta il giudizio del popolo italiano, allora il giudizio è che nel primo processo G.A. è stato CONDANNATO e il reato è caduto il prescrizione. Il secondo invece lo ha ASSOLTO con formula piena, mi sembra. La necessità di operare il male per perseguire il bene non è un giudizio politico, è un prescritto machiavellico. Sono gli altri che ti giudicano, non ci si può giudicare da soli. E Andreotti, come Sorrentino, non lascia molto spazio agli altri.
nemmeno, è stato comunque assolto per prescrizione, in quanto è provata la collusione fino al 1980.
a mio avviso, il giudizio politico c’è sulla Prima Repubblica, composta da un esercito di lacchè che vagano da un protettore ad un altro; protettori che spaziano dalla politica alla Chiesa alla malavita.
non so, mi pare molto folclore e poco più.
sul piano estetico si ripete; nelle Conseguenze dell’amore è stato magistrale, l’equilibrio era perfetto. L’Uomo in più è un film bello e toccante, ma con uno stile ancora non così definito. L’amico di famiglia è l’inizio della fase manieristica di Sorrentino (penso alle inquadrature nella piazze geometriche di Latina e al Colosseo), che si ripete in questo film.
Le conseguenze dell’amore l’ha girato in fretta, in 8 settimane: forse il segreto per avere il meglio da Sorrentino è farlo lavorare in fretta, con mezzi limitati. diciamo, fargli fare una cura dimagrante.
A me invece è piaciuto molto, forse anche più di Gomorra.
Andreotti eticamente ne viene fuori a pezzi, non si può mettere in discussione: soprattutto in relazione al sequestro Moro (le lettere di quest’ultimo che si susseguono nel film, etc).
Se Sorrentino è autofellante, Lynch cos’è? Onan reincarnato dietro una macchina da presa?
Mah, a me sembra che Sorrentino non sia così assolutorio. Semplicemente, invece di far uscire Andreotti come Belzebù, ne mostra le sfaccettature: Andreotti è umano, con la sua zozzuria e i suoi tentativi di perseguire il “bene”. Il monologo verso il finale di Servillo è un po’ la summa del Sorrentino pensiero su Andreotti: che non è giustificato nè colpevolizzato ma, semplicemente, dipinto come un uomo di COMPROMESSI. Come tutti gli uomini politici che hanno operato in democrazia (che come si sa è il male minore, ma..)
Per questo l’incazzatura di Andreotti in carne e ossa è stata in fondo molto sottotono: perchè Sorrentino ha restituito, per quanto oscurato, insozzato, impuzzolito, ad Andreotti lo status di essere umano. Non so se questo sia assolutorio, so però che un film solo colpevolizzante sarebbe stato, per così dire anche filosoficamente, poco credibile…
Certo, poi puoi fare un film che punta il dito contro Andreotti, definendolo l’assassino di Moro (cosa che comunque nel film c’è. In realtà le accuse, anzi, ci sono tutte).
Sinceramente io più che altro mi sarei incazzato per quelle continue inquadrature di mani sporche del Divo, sembrava uno che non faceva altro che scaccolarsi le ‘recchie… più d’ogni altra cosa, Andreotti ne è uscito col sex appeal di uno che c’ha un chiosco de panini al tiburtino…
No, io non voglio fare un film contro Andreotti, non mi piacciono i film ideologici. Sto dicendo solo che non ho trovato nessuna passione civile nel film, sarà che ero distratto dai movimenti di macchina, non so.
Io però ho un’altra tesi sul fatto che a Giulio sotto la gobba il film non sia affatto dispiaciuto… ed è che è una semiglorificazione di Andreotti, e Sorrentino è riuscito a solleticare il suo narcisismo.
In chiave psicanalitica per me Sorrentino ha fatto un film su se stesso, che vorrebbe essere un divo, ed è invece un gagà.
(come fate a dire che Andreotti “eticamente è stato fatto a pezzi” da questo film? Ne viene e fuori uno che è il più potente di tutti, che è più intelligente di tutti, che è il più ganzo di tutti, e viene prosciolto da qualsiasi accusa in barba ai suoi accusatori. Qualsiasi politico italiano pagherebbe oro per avere un film così su di lui. Qui la furbizia è un mito. Non ve lo dimenticate.
@Harlot: eh, con Lynch con me caschi male. Per quel che mi riguarda, la definizione di Onan va bene. Ma qui finiamo nel gusto. E’ lo stesso motivo per cui a volte non riesco ad amare completamente Greenaway. Comunque anche a me il film è piaciuto, eh, l’ho già detto. Ho, ripeto, delle riserve. E ci tengo a sottolineare che ho detto “certo atteggiamento autofellante” non “autofellante” tout-court. Qua e là esce fuori, diciamo. E inoltre l’autocompiacimento non deve portare obbligatoriamente alla schifezza cinematrografica. Fellini mica era da poco, in questo senso. E’ un problema di equilibrio e di funzionalità.
Gomorra non l’ho visto. Devo riuscire prima nel difficile compito di epurarmi da ogni pregiudizio su Garrone, che non mi piace per un cazzo.
@Mix: Mi trovo molto d’accordo su L’amico di famiglia, che oltre a essere manierato, è anche un bel gonfiore di coglioni. Lì la storia, alquanto morbosa, non decolla mai, e il finale delude. Molto piatto.
E’ vero, non c’è passione civile nel film. Però c’è altro, c’è una VISIONE, c’è un AUTORE. E non è poco, di ‘sti tempi… visto che la lamentazione generale in Italia è che non abbiamo più gli autori de ‘na volta…
Il film su Andreotti poteva essere fatto in mille modi: questa lettura, complessivamente, mi è sembrata molto valida (e comunque sinceramente non credo che Andreotti ne sia stato contento. Non s’è incazzato troppo, ma non ne è stato contento: il film getta tante, tantissime ombre su di lui, e per quanto narciso uno possa essere, vedersi rappresentato circondato dallo Squalo, dalle mignotte di Pomicino, da una cricca di fasci e mafiosi, beh…)
Matteo Bordone aveva fatto una critica molto simile a questa. O tu la pensi come lui, che poi è la stessa cosa.
http://www.freddynietzsche.com/?p=511
Edo, è proprio così, l’Amico di famiglia promette benissimo, fin dalla locandina, ma poi la storia si perde nella sua sostanziale incredibilità.
guardati l’Uomo in più, dove Tony Servillo dice una frase spettacolare che ho sempre sognato di poter dire ad una fanciulla senza che questa si mettesse a ridere: hai una camicia che starebbe benissimo appoggiata sulla sedia di fronte al mio letto. che grande, altro che Humphrey Bogart!
Caro Edo, volevi forse dirmi di non andare al cinema? Beh non lo farò… Gomorra l’ho visto, ma il Divo al massimo lo scarico, con tutto il rispetto per Sorrentino. Se quella dello skateboard è tua meriti dieci euro, o una pizza, decidi.
@Benny: è mia in che senso? La battuta? In quel senso, sì, certo. La pizza me la offri quando passi da Lamezia (sarebbe anche ora).
Comunque non era assolutamente un consiglio a non andare. Il film vale la pena vederlo, con tutte le perplessità che il gusto personale può apportare.
Io ho scritto un articolo sul Divo, ma non mi sono concentrata tanto sul film…
http://www.altrastampa.net/lettura.php/news/Chi_e_il_divo_oggi_in_Italia_Andreotti