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Lu spassu: una tampasiata nella provincia siciliana dell’oggi come oggi
L’ideale, se decidi di fare una tampasiata in un piccolo paese della provincia siciliana, è di farti ospitare. Ti servono dei parenti o degli amici autoctoni, certo. Però, anche se non hai nessuno, stai tranquillo, fidati, se fai un giro per le strade del paese, anche il giorno prima della tampasiata ufficiale, con molte probabilità qualcuno vorrà fare la tua conoscenza, ti “scommetterà”, così si dice in dialetto quando si fa amicizia con qualcuno (cioè scommetterà su di te, perché l’amicizia è una scommessa, un favore, da ricambiare, alla prima occasione).
Ti svegli tardi, questo è d’obbligo. Tanto non lavori. Sei in vacanza.
Ma svegliarti tardi non serve solo per riposarti. No no. È un’esperienza. Non ti curare del sommesso chiacchiericcio che arriva dall’altra stanza: i tuoi ospitali amici siciliani staranno dicendo le solite cose: “Miiih, a pranzo voli lu primu, lu sicunnu! Miiih, non se l’è fatto dire due volte ed è rimasto”.
Se proprio vuoi ascoltare questi sproloqui, sappi che la loro insensatezza è apparente. Sì, è vero, hai ragione: ieri sera hanno insistito al livello della molestia personale per convincerti a restare e ora tu non capisci come sia possibile che dicano queste cose.
È un’aporia apparente. I siciliani sono così. Insomma, non ci pensare più: esci.
Fai attenzione, però: in molti paesi della provincia siciliana, si cammina al centro della strada e, se sei in macchina, rispetta le regole del posto. Ecco, bravo: non usi il clacson per fare spostare il pedone. Non ti lamenti, aspetti che il pedone ritorni casualmente sul marciapiede. E basta. Le macchine vecchie, piene di ruggine e malate Euro 1 e 2 (ma anche Terzo mondo 1 e 2), attraccano lentamente nelle zone destinate al parcheggio; le Mercedes nere frenano all’ultimo secondo, ma tutte così come viene: a spina di pesce, perpendicolarmente rispetto alla sede stradale, parallelamente, come ti passa pi lu cazzu. Anche tu cerchi un piccolo spazio tra le lamiere e ti ci infili.
Così, se mettiamo vai a comprare il pane, capita che devi aspettare qualche minuto, fino a quando l’automobilista che è entrato dopo di te nel panificio e si è confuso in quel crocicchio debordante che qualcuno ha il coraggio di chiamare fila, si decida a spostare la sua macchina, messa di squincio alla tua.
Tu aspetti, bravo, ti sei calato nella parte. Non ti lamenti. Può capitare che il suddetto automobilista, uscito dal panettiere, incontri qualche suo conoscente (in realtà conosce metà dei paesani e finge di conoscere l’altra metà – con la quale sembra ancora in maggiore confidenza) e allora si senta in dovere, dopo mille abbracci e baci, di scambiare qualche affettuosa e fondamentale parola di circostanza con l’amico (l’amicizia è importante). E tu che fai? Ti metti a fare il maleducato? No, aspetti. Poi può capitare che dopo esserti incolonnato al tipo di prima (un tuo amico, in fondo, dai; e amico di molti amici), tu debba arrestarti dopo pochi metri di avanzamento ingolfato (ci sono principalmente due modi di procedere in macchina: 1. andamento lento, sguardo pronto a captare qualche amico o qualche amico di amici, a costo anche di attraversare un incrocio senza curarsi della precedenza – ciò è la norma se sei alla guida di un’Ape; 2. a tutta velocità, zigzagando e sgommando, ma solo per brevi tratti, giusto per fare eiaculare il SUV nero e attirare gli sguardi degli amici e degli amici dei nostri amici, come un richiamo, come a dire: eccomi, sono qui, adesso mi avete visto, ora rallento e scambiamo, dopo mille abbracci e baci, le solite e affettuose parole di circostanza), dopo qualche metro, dicevo, può capitare che il tipo che ti precede si debba fermare. Magari sul marciapiede ha avvistato un suo amico (o amico di amici) e ritiene che sia fondamentale salutarlo, parlare con lui, toccarsi, sorridere; oppure inforcare un cipiglio complicato per condividere qualche disavventura (con lo Stato, che è sempre curnutu e burdillaru, che magari ha arrestato qualche prestanome della mafia – “che però lui almeno il lavoro lo dava e ora tutti i patri di famiggghia che lavoravano per lui che faranno?).
E tu che fai? Ti lamenti? No, mica sei cretino. Hai studiato antropologia? Ah ecco. Aspetti. Intanto noti che tutti guardano tutti, tutti ca talianu. È vero, è tipico di un ambiente di provincia guardarsi in giro, essere curiosi. Ma in Sicilia, come diceva Leonardo Sciascia, le cose accadono di più. Qui ti guardano con insistenza.
E se parlano con te ti chiedono: “A chi appartieni?” Il verbo è appartenere, sì. Devono sapere chi sono i tuoi genitori, i tuoi zii e i tuoi amici. Tutto ciò è fondamentale per accettarti.
Fine 1° puntata
15.01.2008 5 Commenti Feed Stampa
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Commentaallora questa signora che ero nel suo bed end brekfast, ma veramente era la camera di sua figlia che si era sposata, mentre mi bevevo il caffè che mi aveva preparato (sul tardi, certo), e lei si faceva la glicemia, cioè si è davvero punta il dito e fatto uscire il sangue davanti a me che mangiavo una merendina, insomma ha detto, ma che puoi vedere tu di palermo, da sola?
io ti porterei, è che mio marito non vuole.
veramente, non è che glielo devo dire.
io il pesce lo devo comprare.
eh, uscire devo uscire.
quello non s’è manco svegliato, ancora.
tanto tu non è che glielo dici.
andiamo va, sbrigati.
e se no tu che vedi, di palermo, da sola?
aveva una cinquecento, con la quale non mi pare che si sia mai fermata, (l’unica reazione agli ostacoli era accelerare) sebbene in qualche modo abbiamo comprato:
pesce
cannoli (uno per me uno per lei, una gusta reazione ad un test di glicemia ben riuscito)
mattonelle dipinte smesse da vecchi terrazzi siciliani (dieci, ce le ho a casa)
intanto si lamentava del governo.
di mussolini.
degli americani.
degli spagnoli.
dei normanni.
io ho detto ma non c’è mai stato un governo che vi piaceva?
entusiasta, ha detto: come no? sotto gli arabi, allora si che si stava bene.
pareva parlasse dei tempi che andava al liceo.
ho detto ma quelli sono andati via dall’anno mille.
ha detto e che c’entra?
in un turbine, alla fine, mi ha mollato in qualche piazza, ammonendomi a guardarmi dai cannoli fatti da chissà chi e dalle false informazioni della guida.
io i siciliani li amo. svisceratamente.
che faccio, piango o rido? Bedda matri, quanto tutto ciò è vero!
Cara Marta, il problema è che se tu ti fossi rifiutata di mangiare la ricotta del cannolo la signora non avrebbe esitato a fartela inghiottire a forza, magari sistemandoti in bocca un bel divaricatore e un imbuto. E se soffocavi non ci avrebbe trovato niente di strano. L’ospitalità innanzi tutto.
Ferrigno, un po’ si piange un po’ si ride. Sì, purtroppo lo so quello che si prova.
ah, si, mi hai fatto tornare in mente quel racconto di pirandello che ho letto mille anni fa, che i tre fratelli di campagna grossi e bruni e forti per ringraziare l’avvocatino esile e biondiccio l’invitano a pranzo e quasi lo ammazzano di cibo, che lui alla fine scappa via piangendo… ahahaha