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Più scrittori che lettori
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Voglio partire da Babsi Jones, ma senza lazzi e scazzi.
Dalla sua lamentazione testamentaria: troppi libri. Più scrittori che lettori.
Così è.
Babsi Jones, Remo Bassini, Antonio Pagliaro, ora in libreria, son autori di libri usa e getta, come le bic.
Non è più tempo del vecchio vocabolario del nonno da conservare, perché ci sono le lacrime che versò quando gli morì il cane che aggrediva i cinghiali e un segno, sul dorso: ché una volta lo tirò in testa a un venditore di aspirapolveri, reo d’averci provato con la nonna, buonanima.
Il libro sta sparendo. Verrà inghiottito dal web?
Affari suoi, del libro.
Verrà il giorno in cui le presentazioni dei libri le farà il lettore davanti a un folto – sì sarà folto – pubblico di scrittori?
Prima o poi sì.
Comunque.
Fare i maghi serva a nasega, dicono al mio paese (Cortona, provincia di Arezzo; Boccaccio andava a morose da quelle parti).
Però una cosa, oggi, la si può fare. – senza pensare ai posteri o a essere sepolti in Santa Croce (c’è sempre tempo, poi è umido lì sotto) -.
Cercare, tramite la rete, di dire a venti, trenta, cento persone: guardate che questo libro l’è morto e sepolto, ma un’è miha giusto.
Un mio libro, fuori mercato e fuori tutto (manco il codice isbn ha) continua a vivere. Per pochi. Ma chissene.
C’è un libro che stampò Sironi, non ricordo l’anno, dovrei vedere, che per esempio meriterebbe di rivivere.
S’intitolava Infanzia Dea, lo scrisse una certa MariaLuisa Bompani.
Oppure libri venduti, ma scomparsi: come Ai margini del caos di Franco Ricciardiello. Vendette 17mila300 copie (“ma perché fu l’ultimo libro Urania che si trovava in edicola, e quindi la gente corse a comprarlo”, mi ha detto lui).
E se ci ribellassimo – costa poco, nessuno è a rischio manganellate – semplicemente segnalando?, o risegnalando (della Bompani ne parlai io, sul mio blog; di Ricciardiello, Seia Montanelli).
Anni fa in un paesino della Toscana ci fu un sindaco che si ribellò all’usa e getta. E chiese ai commercianti di prendere solo prodotti senza plastica. Latte in bottiglia di vetro, sacchetto della spesa di tela. Per la barba solo lamette, quelle di una volta però. Finì male quell’esperienza, semplicemente perché finì. Ma era o non era furba?.
Sarebbe una cosa miracolosa, ma tanto: dire a un libro, Alzati e cammina, o bischero (a Cortona, Firenze, Livorno direbbero così).
5.11.2007 24 Commenti Feed Stampa
24 Commenti
CommentaSì, sicuramente (o forse?) il nostro tempo ha accentuato la volatilità dei libri. Però è una lotta ardua quella che proponi tu. Spesso il nemico è proprio il lettore. Superare la linea d’ombra significa fare breccia non tanto nel lettore forte, che ti garantisce qualche migliaia di copie, ma nel lettore da best seller. E ciò non sempre è un fatto positivo. Come non è un fatto negativo, in sé. Un “libro che resta” può essere un buon libro, ma può essere un cattivo libro. Stesso discorso – anzi, come maggiori certezze – per il best seller. Non esistono regole che stabiliscano quale libro debba superare la linea d’ombra e quale no. Nessuno può governare il processo che porta a un “libro che resta”. Spesso ci vuole una botta di culo e basta. Forse faccio confusione tra il “libro che resta” e il best seller. Le due cose non coicidono, certo. Però se un testo non supera la linea d’ombra raramente resterà. E spesso il discorso critico che dovrebbe garantirci almeno il “libro che resta” è come minimo schizofrenico. Spesso la nostalgia degli anni passati ci fa dimenticare certe cantonate, certi deliri. Pedullà ci ricorda che certi critici apprezzavano scrittori come Savinio, Landolfi, Palazzeschì, Vittorini, Brancati, Bilenchi, Bontempelli, Pea, Gadda e Moravia negando qualità letterarie a Pavese Calvino Rea, Fenoglio, Testori, Bonaviri Ortese D’Arzo, Bassani, Parise. Questi ultimi negli anni quaranta non erano più noti di tanti giovani narratori d’oggi. Di mille narratori sopravvivono dieci. Pedullà ci ricorda ancora che negli anni Cinquanta erano sconosciuti, più di quanto lo siano gli scrittori che oggi pubblicano le loro opere prime, narratori come Manganelli, Arbasino, Malerba, Alice Ceresa, Pizzuto, Volponi, Meneghello, Roversi, Pasolini e D’Arrigo.
Bello questo intervento, perché sarebbe importante ribellarsi all’usa e getta in senso generale. A un “pensare usa e getta”, a un utilizzo delle cose “usa e getta”. Chi mai ripara più qualcosa, chi mai si cura di fare una cosa che mia madre faceva, rifoderare un divano ad esempio? O risuolare? Non è diverso o lontano tutto questo dal mondo dell’editoria, perché il “come” ci si pone verso le cose, il “come” si fanno, porta poi ai comportamenti. Far rivivere ciò che meriterebbe o merita di rivivere. Libri certo, ( devo dire che l’ho sempre fatto anch’io anche perché i libri che amo sono quasi tutti vecchi e stravecchi e ne ho sempre parlato con ossessiva e maniacale attenzione, ad esempio di Louis Brauquier, o Harold Brodkey, o altri. Mi chiedo, però. e se anche si facesse così, non ci sarebbe un sistema di distribuzione feroce a vanificare il generoso tentativo?( parlo dei libri in questo caso, non dei divani o dei ciabattini)
Non si sarebbe voci un po’ sperse, sparse e sperse, e nei grandi ipermercati verrebbero comunque sempre incontro, ammiccanti, i soliti libri, nelle librerie pure, e gli altri destinati a quegli oblii di cui si diceva? Sarebbe qualcosa, certo. Funzionerebbe? Per un pubblico ristretto di amatori, di “raccoglitori devoti”. Forse sarebbe non poco, comunque.
sono d’accordo. No all’usa e getta dei libri. Di chi è la colpa? Si può sapere? E se non si può sapere, cioè se la colpa va dispersa, a chi va attribuita in percentuale? 5% agli editori, 5% alla critica letteraria, 5% al mercato, 5% ai lettori assenti, 5% ai giornalisti, 5% alla disattenzione, 5% alla sfortuna, 5% alla fortuna effimera, 5% alla mancanza di qualità, 5% all’eccesso di qualità, tante, tante colpe
bell’intervento Nicolò, perché completa e fa riflettere. anche sul potere della critica.
francesca hai ragione.
da un punto di vista ecologico (la madre che rifodera un divano vuol dire un divano in meno che finisce in discarica o all’inceneritore) e culturale, anche: un libro che riesce ad arrivare miracolosamente in libreria, senza le dovute bendizioni (recensioni, pubblicità, tv) andrà presto a far compagnia a divani e rasoi usa a getta
giorgio,
io credo (dubitativo) che la colpa sia appunto dell’usa e getta che pervade tutto.
le case editrici hanno capito che così va il mondo: e così stampano più libri cercando di limitare i costi (soprattutto di personale) e intasando gli scaffali.
l’importante non è questo o quell’autore. non è la qualità (lo si vede dai refusi, dall’editing)
è il marchio.
tanti mondadori, dovunque mondadori.
e questo sfornare libri (i famosi 170 libri al giorno) fa sì che le piccole realtà editoriali siano quelle meno visibili; e che la critica, giocoforza, tra i 170 vada a scegliere quelli più visibili.
sia chiaro, è un discorso vecchio.
già nel 1957 (l’ho scritto sul mio blog) Bianciardi diceva: in Italia c’è un numero esagerato di scrittori.
lo constatava e basta. senza lamentarsene. anzi, scrisse: e se ogni scrittore adottasse un analfabeta?
sull’usa e getta.
lavoro nell’informazione, io. bene, anni fa ci si rese conto che se a un giornale tu allegavi qualcosa – qualsiasi cosa – quel giornale avrebbe venduto di più: la gente (noi) ha bisogno di avere qualcosa da buttar via.
l’usa e getta ci sta condizionando, in tutto.
pensate all’alimentazione…
Caro Remo, quella di Bianciardi me l’hai levata dalla tastiera, dov’era, ne Il lavoro culturale vero?
Il più grande scrittore vivente ossia Faletti potrebbe per esempio adottare il più grande anlafabeta vivente, che potrebbe essere Mike Bongiorno (dico potrebbe, così non mi querelano).
Il sindaco del paese aveva ragione epperò aveva torto. Ragione nelle intenzioni, torto nel metodo, perché non si può fermare il mare con le mani. Non servono a niente le riserve indiane, nè il si stava meglio quando si stava peggio. Gli Amish non mi sembrano la soluzione alla globalizzaione.
Quel che si può fare, quello che mi sembra alla portata, è – se possibile – consumare di meno (forse anche meno libri).Quando non è possibile, farci durare di più quello che si consuma. Esistono le biblioteche (spesso tenute in modo pietoso), esistono le bancarelle, c’è un mercato vivace dell’usato, c’è maremagnum, ci sono i remainders, e altri metodi di guerriglia contro la bulimia libraria.
Il tempo di vita di un libro è circa tre mesi, una specie di farfalla di carta. Se dopo tre mesi le vendite languono, dopo essere passato dalle “novità” agli scaffali, se ne torna in magazzino e da lì agli inferi dei remainders (dove si pescano perle rare).
Io lancio una proposta donchisciottesca: scrivere un post collettivo dove ognuno chiede la ristampa di un libro, cerchiamo di raccogliere adesioni e poi si manda la petizione alle case editrici. Sicuramente non ci cacheranno di striscio, però secondo me è un bel gesto.
Vi sembra giusto che la trilogia di Beckett in casa Einaudi sia fuori catalogo (certo, perché offrire un tomo unico quando ne puoi vendere tre singoli?) e che nemmeno il centenario della nascita abbia rimesso in moto i rulli?
P.S. A Cortona si dice Alò.
Io lancio una proposta donchisciottesca: scrivere un post collettivo dove ognuno chiede la ristampa di un libro, cerchiamo di raccogliere adesioni e poi si manda la petizione alle case editrici. Sicuramente non ci cacheranno di striscio, però secondo me è un bel gesto.
era a questo, o qualcosa del genere, a cui volevo arrivare.
una proposta sensata e meditata che parta da qui.
no, si deve cercare di fermare il mare con le mani.
visto report ieri sera? una unica asl italiana, quella di imperia, ha trovato il modo di
1. consegnare i farmaci a domicilio di malati e anziani e
2. di risparmiare oltre il 50 per cento, in base a una normativa che prevede sconti alle asl sull’acquisto di farmaci.
le cose son due, ora.
o la cosa viene archiviata, il che è probabile.
o la cosa (anche grazie a report) prende piede, s’allarga: e si risparmierebbero tonnellate di euro, ogni anno, senza mandare in crisi le farmacie, credo.
certo, si dice alò a cortona.
ci presi un cane, che lo portai in padania. si andava in girò e gli dicevo Alò. la gente credeva si chiamasse Alò.
Del tema dell’usa e getta ho disquisito giusto ieri in un pezzo preparato per http://www.mentecritica.net. Li’ si parlava di mercato, di prodotti e di come gli stessi lavoratori, grazie alla flessibilita’, siano diventati tali. Qui si parla di libri. Il succo e’ lo stesso, ci lasciamo scivolare via le cose dalle mani, come fossero sabbia. Ripensiamola questa dottrina dell’usa e getta. Rifiutiamola. Sabato scorso sono andata a far la spesa con le buste di stoffa cucite da mia nonna buonanima. Ho l’armadio stracolmo di cose vecchie, perche’ non rovino i vestiti e quando devo liberarmene li regalo, non li butto. I libri mi stanno sommergendo, ne ho di nuovi da leggere, di vecchi da rileggere, non ho il tempo per farlo tutte le volte che vorrei e piango quando mi accorgo che la carta con cui sono fatti e’ di pessima qualita’ e questo significa che non riusciro’ a lasciarli in eredita’ alle mie nipoti. Forse, anche se ci riuscissi, non li vorrebbe. Educhiamo alla lettura i bambini, coltiviamo la loro e la nostra fantasia e, si, cerchiamo di fermare il mare con le mani perche’ quando guardo le mie straripanti librerie penso che dietro ogni dorso c’e’ un mondo da esplorare, un’anima che mi era sconosciuta prima di leggere e che dopo aver letto mi appartiene, ci sono suggestioni che fanno ormai parte di me. Ricopiamoli su Internet i libri perduti, pubblichiamoli di nuovo online come sta facendo Remo con il suo meraviglioso Quaderno. Ogni libro perso e’ una sconfitta per tutti.
Laura
Nel giro di un anno (statistiche alla mano) il tempo di permanenza di un libro in libreria si è ridotto da 3 mesi a 2.
Sempre e solo per far spazio alle nuove pubblicazioni.
D’altronde lo spazio ancora non hanno inventato come moltiplicarlo.
Non so se finirà che gli scrittori presenteranno i loro libri davanti ad un pubblico di soli colleghi.
A teatro già succede da tempo: le nuove compagnie fanno il tutto esaurito soltanto il lunedì quando i colleghi hanno il giorno di riposo…
Però il problema dell’usa e getta è dirompente.
A me piaceva quando le cose si potevano aggiustare. Generazioni di parenti hanno campato così sostituendo fili ai ferri da stiro, spine elettriche, guarnizioni a rubinetti e frigidaire.
E’ che ora gli oggetti escono dalla fabbrica già programmati per rompersi dopo un po’ e senza avere speranza di ricambi.
Che la stessa sorte tocchi anche ai libri, però, è insensato.
I libri, quelli buoni, non passano di moda nè si guastano.
E dovrebbero essere a disposizione di tutte le generazioni.
Anzi dovrebbero servire come profilassi, ancor più delle vaccinazioni.
Mi piace l’idea del post collettivo, anche se andrebbe a finire che chiederemmo di ristampare più libri di quelli che ora sono esposti nelel librerie.
Perchè ognuno di noi ha degli scaffali segreti dai quali uscirebbero libri che non sono nè classici nè osannati, ma semplicemente fondamentali, ognuno a suo modo.
Proviamoci.
naima
Gentilissimi e oltremodo squisiti interlocutori,
con la presente colgo l’occasione per invitarvi nella nostra Trapani per un abboccamento necessario al fine di mettere in atto delle strategie che sicuramente e giustamente riusciranno non solo a dare lustro al nostro ingiustamente diffamato territorio, ma porteranno meriti e onoranze a questo vostro encomiabile portale telematico e letterario, risolvendo in tal modo, con la costruzione della necessaria e condivisa piattaforma programmatica, politica ma sommamente culturale, la valorizzazione di auspicati tropi metaforici purtroppo violentati da anni di attacchi diffamatori e diffamanti. Si tratta, in breve, di un progetto finanziato dalla Unione Europea, patrocinato dalla Regione Siciliana, dalla Provincia di Trapani e dal Consorzio dei Comuni del Mediterraneo Meridionale, “Per un testo forte della provincia di Trapani, ubiquo e perenne, generante un’identità negata da un ostracismo tendenzioso e colpevole”, consistente, tra le altre cose, nella redazione di un pregevole libello che sarà dato alle stampe a cura delle Officine Grafiche Premiate di Paceco, rilegato in pelle e numerato, che sarà cura dell’Assessorato Provinciale far circolare nel nostro territorio presso ogni famiglia. Il testo forte dovrà ribaltare i topoi distorti, far staccare dall’abisso di fango vergognoso, le tanti qualità delle nostre genti, mettere al centro dell’azione politica gli interventi strutturali che possano portare alla realizzazione di un sistema integrato di interventi fattivi, per una provincia rinata, per una provincia che va oltre gli stereotipi.
Il suddetto libello sarà stampato ogni anno in cinquantamila copie, per trent’anni almeno.
Pensiamo con questa iniziativa di dare e offrire un contributo significativo alle sorti della letteratura, ridotta a scoria di un sistema che tutto fagocita e tutto distrugge. Una goccia di verità, insomma.
In attesa di una vostra gentile risposta, con stima e rispetto per il vostro pregevole lavoro intellettuale a favore della giusta considerazione del testo letterario, vi saluto amichevolmente.
On. Alfonso Rubino Mangiachechi
Già membro della Commissione d’inchiesta sul fenomeno della mafia, della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, della Commissione parlamentare questioni regionali, della Commissione di vigilanza sull’anagrafe tributaria, della Commissione di vigilanza servizi radiotelevisivi, del Comitato parlamentare per i procedimenti d’accusa, del Comitato servizi di sicurezza, Presidente Fondazione Banca della Trinacria e Affiliati, Membro dell’Unione Nazionale Comuni Collinari dell’Europa Meridionale, Presidente del Consiglio Nazionale dei Formatori Professionali dello Sviluppo, Presidente della Fondazione per la Qualità del Territorio, Presidente dell’Ordine Nazionale delle Aziende dell’Agriturismo, Presidente del Premio Letterario “I tropi dell’insubordinazione nella Sicilia futuristica e nell’Isola globale, tra immaginismo e avanguardie della contestazione e sofistificazione del pensiero riflessivo: quali prodromi, quale restaurazione, quale mitopoiesi di fronte alle sfide del Mediterraneo?”.
Mi preme precisare che il termine “onoranze” inserito nel suddetto intervento a me ascrivibile non appartiene alla mia cultura, non c’è insomma in esso alcun intento minatorio, trattandosi di un refuso. Il termine era semmai “onoroficenze”, più consono allo stile e alla sostanza della mia proposta.
Amichevolmente.
On. Alfonso Rubino Mangiachechi
Onorificenze.
Mbè,
a me piace aggiustare le cose rotte, perchè mi dispiace di buttar via tutto, ch’è spreco, danno;
che ‘na radio scassata, solo un po’, non trovi più il riparatore.
Tanto per dire:
io sono un’artista fatto e finito e per il rimpianto che nutro per ciò che ingiustificatamente si butta ho costruito varie opere materiche nei mesi scorsi con grossi, tantissimi avanzi di polietilene espanso (usato per imballo per grosse macchine da ufficio) trovato nei cassonetti della direzione FIAT di corso Marconi, in Torino.
Ci sono venute fuori delle belle cose, per me e per altri.
E così per i libri, che non ne voglio tenere tanti in casa,: li regalo a biblioteche circolanti.
Io sono venuto su in campagna, quando i bidoni dei rifiuti non erano nemmeno con contemplati, non esistevano rifiuti proprio.
E se qualcuno qui, a conclusione, dice ancora la cazzata del si stava meglio quando si stava peggio o non ci sono più le primavere di una volta, giuro che gli tiro un mestolone di bujacca in faccia.
Il discorso è un altro e le conseguenze di ogni spreco, in altri paesi più civili di questo, sono state valutate con cura e serietà, oh!
MarioB.
caro Remo, a proposito della ristampa di un libro chiesta con un post collettivo, secondo me è meglio tanti piccoli indiani, tanti piccoli post, io, nel mio piccolo e di frequente faccio già così, gli ultimi due libri che ho ri-pescato sono “Silent Spring” e “La picta”, andare a trovarli, soprattutto il primo, è un’impresa…
Mi è capitato di scrivere, con ovvi risultati di impopolarità, che il libro è un prodotto nel momento in cui esce dalle mani dell’autore per immettersi nel circuito di vendita. Ma: tant’è. In quanto prodotto è – giocoforza – destinato ad essere sostituito. L’usa e getta è così radicato nella nostra comoda quotidianità da doversi applicare alle logiche di ogni prodotto, perfino quello letterario. Il fattaccio avrebbe dovuto far gridare allo scandalo da molto tempo: da quando ad ogni inizio di anno scolastico si assisteva muti e giudiziosamente conformi alla ri-edizione del tomo di letteratura (mai aggiornato rispetto agli autori contemporanei e pertanto manco con questo attenuante in saccoccia), de “I Promessi Sposi”, “La Divina Commedia”, continuando con quei classici per anni “vivamente consigliati” dagli insegnanti, uno fra tutti: La coscienza di Zeno. In principio furono proprio le ri-edizioni dei classici ad educare, abituare, assuefare alla letteratura usa e getta. Era chiaro e prevedibile lo sviluppo successivo, a cui si sono aggiunti nel tempo i vari corsi di scrittura creativa, letteraria, giornalistica, eccetera che hanno pompato il concept: tu puoi diventare uno scrittore. Né i “nuovi talenti” hanno capito che stavano diventando essi stessi un target per scrittori ed editori: da un lato miriadi di libri che insegnano a scrivere e a pubblicare; d’altro lato l’editoria alternativa che soddisfa non un bisogno/desiderio del lettore, quanto un preciso desiderio dello scrittore: pubblicare a ogni costo.
Fatto il danno è complesso porre ripari. Scrive bene Francesca Mazzuccato quando fa l’esempio del divano, cui si potrebbe aggiungere quello dell’automobile oltre che dello stereotipato rasoio bic. E si potrebbe allargare, come già qualcuno ha fatto, all’ambiente. Anzi quello ambientale è l’esempio che calza a pennello: mentre si investono centinaia di migliaia di euro (lo scrivo con cognizione di causa) per la sensibilizzazione delle nuove generazioni e l’educazione a uno sviluppo eco-sostenibile, se ne spendono molti di più per continuare a prosciugare le materie prime, compresa (ahimé) quella da cui deriva la carta per pubblicare “certi” libri. Eppure “quei” libri hanno il loro target: gli scrittori, sovente disposti a investire anche cifre considerevoli pur di poter godere dell’aria smossa dalle pagine della loro opera. Facendo un rapido calcolo si può constatare che pagando un grafico per l’impaginazione e un tipografo per la stampa si spenderebbe di meno. Ma. Ma è la parolina magica “editore” che fa la differenza. E il codice, non si sa mai! Eppure la nuova editoria lo dice chiaro e tondo, unica trasparenza: la distribuzione è il nostro problema. In fondo, con la pubblicazione del libro ha assolto il suo compito. Ha esaudito il desiderio.
E veniamo al dunque: la distribuzione.
Posto che i nuovi scrittori abbiano esaudito il loro desiderio di pubblicare, [e posto altresì, ma diciamolo zitto zitto che poco gliene cala dell’uso e getta di prodotti diversi dal libro] è forse arrivato il momento che valutino altri canali di distribuzione, da soli, associandosi, in collaborazione con l’editoria. Si parla sempre di librerie e di grandi centri commerciali, dove, peraltro, l’offerta è talmente vasta e dispersiva che anche per trovare un libro “che resta” si è costretti a inseguire un commesso che alla terza richiesta già c’ha scritto in faccia chiaro chiaro: Che rompiscatole! Eccerto: il libri dove vuoi venderli se non nelle librerie? Penso, io, che i canali possono essere diversi, per una volta non ponendosi contro il marketing ma mutuandone le strategie. Sono aumentati di gran lunga palestre, centri estetici, sale d’acconciatura, sale gioco, sale musicali, eccetera. Questi sono canali da prendere in considerazione giacché offrono maggiori spazi e maggiore visibilità di librerie e biblioteche (praticamente deserte e comunque frequentate con scopi precisi di ricerca mirata), oltre a favorire il cosiddetto acquisto d’impulso che, perdonatemi, è necessario quando si parla di uno scrittore non già noto e non già letto per motivi di conoscenza, amicali o affettivi. Inoltre vi è il più generico do ut des, giacché essi stessi godranno di un vantaggio (il cosiddetto valore aggiunto) proponendo una parentesi culturale, non solo con la vendita dei libri, ma anche con incontri per le presentazioni e similari. Certo, gli scrittori dovrebbero scendere dal piedistallo, ma che le librerie sono sature non lo vengo a raccontare io. Né vale il discorso, genericamente affrontato un po’ ovunque, dell’editoria (la grande editoria) che deve puntare alla qualità. Sono utopie che, peraltro, ficcano le mani nelle tasche altrui e non tengono conto (benedetto intellettualismo!) dei principi propri dell’imprenditorialità.
Penso agli autori africani che divulgano i loro libri attraverso quella rete di vendita oramai consolidata nello scenario collettivo: i venditori ambulanti, i vucumprà della cultura che ti fermano per strada e ti raccontano dell’autore, del libro, dell’importanza della diffusione dei loro valori e dei loro pensieri.
assu
Assu dice: Certo, gli scrittori dovrebbero scendere dal piedistallo, ma che le librerie sono sature non lo vengo a raccontare io. Né vale il discorso, genericamente affrontato un po’ ovunque, dell’editoria (la grande editoria) che deve puntare alla qualità. Sono utopie che, peraltro, ficcano le mani nelle tasche altrui e non tengono conto (benedetto intellettualismo!) dei principi propri dell’imprenditorialità.
E allarga il discorso ai luoghi altri per la vendita dei libri, non ultimo il porta a porta. Sarà che io sono una piccolissima pedina di straforo, sarà che non mi ci riconosco proprio in quelli che stanno su ‘sto cavolo di piedistallo, sarà che di marketing ed imprenditorialità non conosco una mazza. Resta il fatto che mi sono fatta portavoce della liberazione dei libri dalle librerie in tempi non sospetti (mi autocito:
http://blog.lauracostantini.it/post/304608/LIBERIAMO+I+LIBRI+DALLE+LIBRERIE ), andando a vendere New York 1920 – Il primo attentato a Wall Street in profumeria con annesso il profumo creato ad hoc per rievocare quelle atmosfere. Come vedi, cara Assu, non tutti gli scrittori se ne stanno sul piedistallo,sulla pedana di Feltrinelli o dove altro impone il loro presunto ruolo intellettuale. Tu dici spesso che la Rete non è, la Rete si fa. Io aggiungerei che la maggior parte di coloro che scrivono perché questa è la loro natura profonda, si ingegnano,agiscono e di certo non stanno ad aspettare le operazioni di marketing o quant’altro per far conoscere al mondo la loro opera. Ma il problema resta. E, ribadisco, un libro perduto e mandato al macero è una perdita per tutti. La stessa perdita, mi viene da dire oggi, alla luce della morte del grandissimo Enzo Biagi, di quando si spengono una mente e un’anima geniali.
Laura
Posso permettermi di segnalare un post immancabile? Non è mio,l’ha scritto Camon e anche se non sono d’accordo con tutto quello che scrive, secondo me andrebbe meditato.
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/11/05/perche-scrivere-di-ferdinando-camon/
il problema è che, essendo vero quello che dice Remo sulle major librarie, le piccole case editrici non fanno più ricerca, come succedeva alcuni anni fa, ma imitano smaccatamente le major suddette.
mi sento male solo a dirlo e a pensarlo, ma, se cerco un autore e un libro ‘diverso’ mi tocca cercarlo nei cataloghi delle grandi case editrici (ovviamente non nel marchio principale, ma in sottomarchi, in controllate o acquisite).
questa è decadenza del modello: se il piccolo crede di vincere copiando il grande, non ci sarà più alcuna innovazione.
scusate per i giri di parole (avrei fatto prima a dire ‘solo Stilelibero ha avuto il coraggio di pubblicare ecc.’, ma la frase non sarebbe stata corretta e completa, mentre è corretto quanto scritto sopra).
enrico
Assu, una c sola please, l’ho già specificato, non vorrei che i posteri ( e la letteratura del terzo millennio con cui sono in “stretta liason”) mi ricordassero sbagliata- che vuol dire tutto e niente. Importantissimo il discorso sui nuovi canali di distribuzione, associandosi magari, un sogno. Ma perché non lasciarsi andare a un pezzetto di sogno? Come la proposta donchisciottesca di Remo Bassini, io ci sto
– Ci sto di sicuro, anche se non sono nel blogroll di questo Cabaret e l’analista per superare la frustrazione sta diventando salatissimo, quasi come pubblicare un libro con Nuovi autori o Il Filo..
A me nell’enciclopedico post di Assu sfugge del tutto il nesso tra le riduzioni dei classici (un residuo paternalista del tutto innocuo) e il libro usa e getta.
Il discorso che abbiamo avviato sui libri introvabili tira in ballo la grande macchina editoriale, la sua politica impreditoriale e le sue logiche del profitto.
A suo tempo ne parlò anche Salis sul domenicale del S24. Un libro di riferimento è il bellissimo Editoria senza editori di André Schiffrin.
Ritorno al problema primario di queste righe:
non è vero che ci sono troppi scrittori:
Gli scrittori possono essere tutti, e tutti intellettuali ovvero “intelleguali”, come disse bene il signor Effe del blog Herzog, grazie al web.
Ognuno si pubblica sul web quel che diavolo gli pare, senza sprechi di carta, di inchiostri e l’energia elettrica sua del pc se la paga in proprio.
Sono gli editori che sono troppi, francamente troppi, e la politica editoriale simile spesso a quella del “mercato delle vacche”.
Ha un senso sempre scrivere, anche solo per sè stessi, mentre non ha nessun senso pubblicare milioni di libri all’anno, il cui 80% finisce nelle discariche di carta ovvero macero.
Se non è spreco vero questo, che è ?!
Ancora aggiungo che leggere di una persona che ha scritto un libro solo e già si lamenta che troppi scrivono, fa veramente pietà, fa piangere.
MarioB.
Penso che la galassia di editori, il sistema editoriale con i suoi pianeti e le miriadi di satelliti sia di per sè un bene.
Oggi pubblicare è molto più facile di 50 anni fa. Ovviamente ciò va a scapito della qualità. Ma il pluralismo non è mai un male. In nessun caso. C’è posto per Piperno e per Moccia, per Saviano e per Vassalli. C’è posto per molti, non per tutti, ma per molti.
Penso che davanti allo sfruttamento forsennato del petrolio, allo spreco di acqua, di cibo e di altre risorse non rinnovabili, quello dei libri, sia davvero l’ultimo degli sprechi.
A patto di usare carta riciclata, s’intende (ma vedo che sempre più case editrici aderiscono alla campagna elcologista).
Per il resto, che si pubblichino milioni di volumi, non vedo nefandezze.
Ma perché con le tasse che io pago devo contribuire alla sovvenzione carta che ricevono gli editori che poi sversano gran parte del loro prodotto al macero?
A me pare un gran scialo, uno spreco, una schifezza.
I libri non sono la “cultura” in se e per sè, son solo un veicolo.
Non facciamo diventare del mezzo un fine.
MarioB.
leggento piu’ scrittori che lettori ho pensato a un post su La poesia e lo spirito, visto che ha 27 via feed e 60 autori :D
Due cose.
La prima: Francesca Mazzucato, con una sola “c” naturalmente. Errore imperdonabile, soprattutto considerando che è da un po’ che ti leggo. Sì, l’associazione è un utopia, sebbene possa essere una via “imprenditoriale” il che non significa mettere da parte un sogno, ma dargli una struttura. Naturalmente il limite è mio: sono profondamente convinta che un progetto sia meglio di un sogno.
La seconda: Filippo Bologna, lo so che non trovi il nesso. Non sei il solo, credimi: sei in ingrombrante compagnia. Ma non ci posso fare nulla se non ricordare che ogni atteggiamento si consolida sulla base di altri che passano inosservati perché pensiamo che non ci riguardino personalmente.
Tutto qua.