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Caro Marco
Venerdì, 15 giugno, Marco Rovelli, autore di Lager italiani, è stato ospite, su Odeon TV, della trasmissione Virus condotta da Gianfranco Funari. Ha discusso (o almeno ci ha provato) con Carlo Giovanardi e Angela Maraventano, il vice sindaco di Lampedusa, di immigrazione e Cpt.
Caro Marco,
ho assistito al solito teatrino vomitato solo per (cercare di) distruggere le voci dissonanti, gli scarsi resti. Loro (i politici di professione) sono bravissimi ad alzare la voce al momento giusto, a screditare l’interlocutore in modo gratuito con virate populistiche dosate con estrema bravura, a portarsi fuori dalla scena delle responsabilità. Mi dispiace ammetterlo, ma troppe volte in televisione ho visto soccombere lo scrittore di turno, almeno quando cerca di non allinearsi alle verità di plastica che tanto piacciono agli italiani. Una cosa è la parola scritta, un’altra la parola (televisiva) orale. E nei confronti di quest’ultima noi scrittori (mi ci metto anch’io) spesso dimostriamo di non essere attrezzati adeguatamente, non per una deficienza intellettuale, ma (per fortuna?) per una scarsa confidenza con i meccanismi del tubo catodico; o forse perché questi meccanismi, al di là delle probabili buone intenzioni di Funari, sono ormai adatti a valorizzare soltanto le performance di gente come Giovanardi o, addirittura, di campionesse della provincia siciliana come il politico lampedusano. (Ma gli omologhi siciliani che siedono nel parlamento non sono molto diversi, appena un po’ di cipria in più, per rendere impalpabile la loro carnagione e i loro discorsi). Bisogna prenderne atto. E cercare di partire da queste sconfitte.
Ti sei ritrovato messo in mezzo, tra un feroce masticatore di bolle di sapone e una tipica esponente della politica siciliana (e ti lascio immaginare, con ciò, come siamo messi male in Sicilia).
Hai tutta la mia solidarietà e il mio apprezzamento per il tuo operato. Ma gli italiani temo che stiano con Giovanardi e i siciliani (che conosco bene) con la tizia di Lampedusa.
Un abbraccio.
Nicolò La Rocca
17.06.2007 3 Commenti Feed Stampa
3 Commenti
CommentaSì, credo anch’io che loro siano più bravi di me, di noi, a usare lo Spettacolo, che non ammette repliche, che è apodittico, e rende più agevole il lavoro della menzogna (“nel mondo realmente rovesciato il vero è un momento del falso”). Ma non credo che queste siano sconfitte, e non lo dico per autoassolvermi. (Se non che noi stiamo sempre dalla parte delle sconfitte, non solo in tv). Credo – basandomi anche su altre impressioni ricevute – che sia passata anche una verità elementare: da una parte chi aggredisce e attacca la persona, dall’altra chi (nei limiti del mezzo televisivo) argomenta. Certo, chi va di pancia e basta (forse la maggior parte del “popolo”, sì) “non sente ragioni”. Ma per gli altri, e per altro, occorre testimoniare, e credo lo si possa fare con qualche senso e anche con qualche riscontro. Credo che sia da qui che occorra ripartire, non vedo altra via.
Un abbraccio,
Marco
E’ vero, occorre testimoniare. Del resto l’unica strategia possibile è quella utilizzata dai partigiani, piccole postazioni ma diffuse ovunque. Il problema però mi pare un altro. Contro cosa si “combatte”? Quale era l’obiettivo del tuo dibattito con Giovanardi e con quella tipa siciliana? Convincere i tuoi interlocutori? Dubito che tu abbia avuto questo scopo. Consolidare il tuo (nostro) pubblico? Certo, ma mi sembra riduttivo. Guarda, scrivo di mafia quotidiana, di ethos criminale, sono i temi che nascono dal mio vissuto e quindi quelli che sento più miei. Però, ogni volta che vengo invitato a un dibattito, ogni volta che mi intervistano su queste cose mi pare di parlare solo a me stesso. Di fare una cosa inutile, insomma. E’ una sensazione vaga. Però c’è. Alle volte penso che ci dovremmo limitare a scrivere i nostri libri e amen, perché tutto il resto mi sembra inutile, inefficace. Perché, ripeto: con chi stavi parlando tu su Odeon? Con quelli che aderiscono al dettame del “già sentito”? Ho letto, tempo fa, “Del sentire”, un libro molto interessante del filosofo Mario Perniola, in cui si operava una differenza tra l’ideologia e la “sensologia”, per la quale mentre l’ideologia sarebbe il già pensato, un insieme di dottrine già pronte, la sensologia dei nostri giorni si ridurrebbe al “già sentito”, cioè all’esortazione ad aderire a ciò che già tutti hanno approvato, che “anticipa, precede e addirittura sostituisce il fatto”. Ogni proposta, al di fuori di questo anomalo consenso, non ha alcuna legittimità (e forse dignità). Questo è il succo della riflessione di Perniola a cui ho ripensato vedendoti in televisione.
Forse, prima di lottare per i singoli temi, bisognerebbe contrastare questa brutta bestia descritta da Perniola.
Hai ragione, ma gli è che questa bestia la contrasti proprio questionando sui singoli temi, contrastando micropoteri, innescando, se e dove e quando possibile, processi di “ragione”. Insomma, ai dibattiti non andiamo ovviamente per convincere gli interlocutori, ma solo per spargere qualche seme, senza sapere chi lo farà attecchire, come mi accade peraltro di fare a scuola. Argomentazione contro berciare, ragione (e cuore) contro pancia (e cuore, anche, ma è un cuore intestinale). Aprire prospettive, innescare processi – foss’anche per una sola persona. Nonostante la rabbia, nonostante l’umor nero (io la notte dopo il dibattito ho dormito poco e male…).
un abbraccio