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Quando stai solo
Quando stai solo ti abitui a stare solo. E allora il letto non ti sembra più troppo grande, e dopo un po’ ti fai coraggio e ti prendi anche l’altra metà, che da quando lei non c’è non hai più osato, e hai fatto conto di dividere con un tizio incontrato nello scompartimento del treno. Quando stai solo il silenzio non ti sembra silenzio. Diventa una voce. Che dice cose. Che solo tu puoi sentire. Quando stai solo il credito del telefonino ti dura un’eternità.
Succede che una sera non ti va di star solo.Allora esci e trovi gli amici. O una donna. Se la trovi, e te la ritrovi nel letto, dopo che c’hai fatto l’amore lei vuole abbracciarti e tu invece vuoi girarti su un fianco ma non lo fai perché sta male. Allora resti supino, dai ora dormiamo dici, che è tardi, e cerchi di evitare che i tuoi piedi si tocchino coi suoi. Perché i piedi sono una cosa intima, che si possono toccare solo se due persone si amano. Desideri che se ne vada in fretta e non vedi l’ora di tornare presto solo. Finalmente solo. Invochi l’alba che si porta dietro la promessa di un nuovo giorno e la scusa di avere cose da fare. Come quando sei in ascensore con altra gente e c’è quel silenzio gravido da ascensore, che è un silenzio d’apnea, che non finisce più, e non vedi l’ora che si aprano le porte perché vuoi schizzare fuori e tornare a startene solo, a gridare e respirare coi tuoi di polmoni. Quando stai solo non hai più paura di stare solo. Ti prendi il tuo tempo, ti fai le tue cose. E niente.
Il rischio di quando stai solo è che dopo un po’ ci prendi gusto. Specialmente se gli amici non ti mancano e sai dove trovarli, specialmente se è una donna, e non una ragazza, che ti manca. Perché una donna si trova e non è un problema. Uno dei problemi di quando stai da solo è che ti scordi di quanto è bello stare in due. Ma non in due così, tanto per starci (conosco un sacco di ragazze che stanno in due così, tanto per starci, perché hanno paura di stare sole anche un minuto e allora si lasciano e si fidanzano si lasciano e si fidanzano, e ne infilano uno dietro l’altro, come quegli anelli di carta dei festoni di carnevale). No, io dico in due proprio. Che la mattina ti svegli e fai l’amore e lei struccata è ancora più bella che la sera alla cena con gli amici e non ti fa fatica andare in cucina a mettere su il caffè e glielo porti senza che lei te lo chieda. E se è una bella giornata di sole ti sembra che hai un sacco di cose davanti. E non dietro. Cose da fare in due. Cose che non faresti mai da solo.
Quello ti manca. Però ci devi arrivare lì. Allora è dura. Perché all’inizio devi sempre superare una soglia, devi attraversare indenne quello sbarramento di parole e interessi che ti vorresti risparmiare perché non ti interessano ma che l’altro giustamente ti mette davanti perché vuole conoscerti (pretesa che tu non hai) e dice: io sono qui, vediamo se vieni a prendermi. Allora io quando mi trovo in queste situazioni, sorrido senza esagerare, guardo un punto indefinito nel perimetro del volto di chi mi sta davanti e annuisco piano, di modo che lei pensi che mi interessa quello che sta dicendo (ma in realtà ho capito subito che non mi interessa L’alchimista di Coelho e tutte le cose che interessano a quelli a cui interessa L’alchimista di Coelho). Sto attento a non farle capire che non mi interessa né lei né L’alchimista di Coelho. Perché se mi tana potrebbe dire: Ma almeno l’hai letto? L’hai mai letto? Mi potrebbe dire. No che non l’ho letto. E tu sei stata sull’isola di Pasqua? La vita è troppo breve. E come fai a sapere che non ti interessa? Lo so. La vita non è così breve. Ed è un discorso troppo lungo e intimo da fare a una sconosciuta. Le dovrei spiegare anche perché non possiedo scarpe a punta quadrata, perché all’università consideravo dei coglioni quelli che sottolineavano tutto il libro, perché mi fanno orrore gli uomini che si radono le sopracciglia e perché non sopporto quelli che dicono “a livello lavorativo”. E non mi va. Non mi va. Né di stare a sentire tutte le sue storie, né di raccontare le mie. Né di spiegare tutto da capo, una volta ancora, solo per non stare solo una notte. Ecco perché preferisco stare solo.
Il guaio è che quando stai solo ti abitui a star solo. E non ci si deve abituare a star soli. Un giorno potresti entrare dal tabaccaio. Comprarti un pacchetto di sigarette. Perché hai voglia di startene a fumare. Al buio. Da solo. E voltando il pacchetto potresti leggere: Stare soli da dipendenza. Non iniziare.
2.04.2007 29 Commenti Feed Stampa
29 Commenti
Commentasplendido. Delicatissimo. Ecco un esempio di quello che penso sul narrare. Questa è una storia anche se ha la forma di una riflessione intima. Perchè quel solitario sembra fatto di carne ed ossa e lo vediamo muoversi nel mondo. E poi c’è una sola citazione. Ma sapientemente usata per ironizzare sulle citazioni. Bravo
Leggendo questo racconto – racconto? -, anzi leggendo e rileggendo questo racconto -racconto? – ho cercato di capire dove iniziava l’ingarbuglio, – bada bene, non l’intrigo – che mi respingeva all’inizio, al “rileggendo”. Poi ho capito che il problema non era il farraginossisimo e consueto meccanismo narrattivo, ma l’insostenibilità della descrizione della solitudine, più significativa di una patologia del carattere che di una condizione esistenziale, forse unico e degno motivo di fare letteratura – oltre cioè il lavacro emotivo del diario intimo personale.
Poi ho letto la recensione di Daniele Billitteri e mi sono detto oibò, chiedendomi anche se si scrivesse così, forse la mia era solo noia; allora ho pensato che il mio tentativo di critica letteraria non fosse null’altro che un lavacro emotivo della noia di questo racconto – racconto? -.
a livello di lettura questo scritto fa pensare, più che all’interregno tra due amori, a quello tra l’amore ideale primo e unico e irripetibile, e la maturità di una vita sentimentale che prende strade nuove, strade adulte e non più asfaltate. l’io narrante è acchiappato per i capelli e buttato alla mercé del lettore, più o meno occasionale, attirato dai neon del cabaretbisanzio. storia? non ce n’è, ma chi la vuole (soprattutto su un blog, per quello ci sono i libri)… il personaggio rimbalza sul trampolino e piace così, rimbalza bene. a livello lavorativo la letteratura è obsoleta, meglio il cinema.
MA l’amore primo in senso logico o cronologico? Come modello o come maldestra sperimentazione e conoscenza di se?
le cronologie in amore stonano, l’amore non è un browser. l’aggettivo maldestro mi piace, fa pensare a uno che batte la testa sulle cose per sperimentarle, come il personaggio del pezzo del fuochista bolognese, che se avesse un seguito ci regalerebbe altri tuffi.
il famossisimo gioco dell'”acchiapparella”, mi ha fatto sempre cagare!
Lucy
BUon per te lucy, ma non ho capito.
Perché all’inizio devi sempre superare una soglia, devi attraversare indenne quello sbarramento di parole e interessi che ti vorresti risparmiare perché non ti interessano ma che l’altro giustamente ti mette davanti perché vuole conoscerti (pretesa che tu non hai) e dice: io sono qui, vediamo se vieni a prendermi.
ecco questo
Lucy
ma tu vorresti relazionarti con uno che non conosci?
E poi, come è possibile?
Filippo…hai dato parole a molte delle mie emozioni… solo che, adesso, mi sta venendo un pò di paura. Sono “dipendente”. E’ sicuro. Che faccio? Cerco qualcuno per disintossicarmi o mi lascio morire di cirrosi emotiva?
Complimenti Filippo !!! La tua fenomenologia lieve dello star solo,l’ho condivisa e sentita sulla pelle dal primo “quando” all’ultimo “iniziare”.
Bel pezzo davvero, hai aperto il fuoco alla grande !!!
Io non so cosa sia un “lavacro emotivo”, non sono né un depresso patologico come suggeriva un’interpretazione psicanaltica del mio pezzo, né un solitario ombroso. Non volevo scrivere né un racconto, Nè un – racconto?, come si dice poco sopra. Cercavo solo di fermare un particolare stato d’animo. Capisco che a qualcuno possa stare sui coglioni il minimalismo carveriano, l’intimismo alla Cornia o l’autocommiserazione letterararia. Ma dai, concediamocelo, ogni tanto anche i cabarettisti restano soli, il teatro chiuso, il sipario tirato e le luci spente, a pensare se forse per quel numero non servirebbe una spalla.
Accipicchia, scusami.
Però se non volevi scrivere un racconto dillo tu a Daniele Billitteri che ha preso una terribile cantonata scambiando la tua riflessione intima per una storia.
Ha colpo però la tua capacità di citare con discrezione.
Credo che, fondamentalmente, “stare con qualcuno” sia solo una coazione a ripetere fondata su un modello tristemente noto (noi orfani prematuri ne soffriamo meno).
Stare soli è solo (:-D) un intermezzo di decantazione per poter ri_incominciare.
Scusa la pochezza del commento, forse. ma è proprio molto toccante quello che hai scritto, molto vero, molto bello come l’hai scritto.
giusto, filippo.
il cabaret in fondo, non è un pò malinconico? a me ha dato sempre queste impressione.
eh, si perchè quando esci da un cabaret o in generale, da uno spettacolo comico, sei sempre un filino triste…
Lucy
@ Al Kurtz.
Scusa ma non capisco bene questa ansia da etichettamento, quali requisiti deve possedere un racconto per essere un racconto? E cosa distingue un racconto lungo da un romanzo breve? E una riflessione intima da un pensiero personale?
Ho scritto quello che mi andava di scrivere. Quello che sapevo scrivere in quel momento.
E’solo una voce. Se ti senti più sicuro mettici l’etichetta che vuoi.
Tanto, se non ti garba, che sia un racconto, un apologo, una novella gnomica, o un romanzo epistolare cambia poco.
Daniele aveva scritto che gli era piaciuto il post. E aveva colto delle cose. E mi aveva fatto piacere. Tutto qua.
Ho letto ieri pomeriggio questo racconto.
Non mi si toglie di dosso, anzi sono tornata a leggerlo più volte.
E’ un manifesto della solitudine coraggiosa, di chi è attento ai dettagli. Ascolta le note stonate e decide di fermarsi ancora prima di inizare qualcosa che non ha nessun senso.
(Complimenti a tutto questo spazio, bello così com’ è)
Filippo ha colto benissimo ciò che intendevo. Ha scritto un post molto delicato che io ho letto come il racconto di un percorso. Voglio dire che in quel percorso c’è una storia narrata. Ho letto pagine di “diari intimi” che mi hanno provocato fastidiose ipetrofie delle gonadi. Il racconto della solitudine secondo Filippo è invece scorrevole, avvincente, stuzzicante, mai malinconico. Come deve essere una storia. Mica per essere storie devono cominciare tutte con “Era una notte buia e tempestosa…” oppure “John guardò il volto di BabyLee attraverso il bicchiere pieno a metà di Four Roses e le disse: baby, mi hai rotto il cazzo”.
Caro amico,
ho letto il tuo pedigree e mi sono fatto l’idea che per te scrivere non sia una semplice esercizio diaristico, intimo, ma una ambizione artistica, ammesso che la letteratura sia arte. E’ possibile che mi sia sbagliato, che il mio giudizio abbia de-ragliato. Oppure che magari talvolta scrivi cose “etichettabili”, che so, storie di gnomi ubriaconi che vivono nelle periferie degradate dei boschi, che fai leggere a Sandro Veronesi, e talvolta no. Ho colto un momento no e ho pensato che fosse un momento si.
Accetta i miei migliori auguri per la tua carriera di scrittore di cose non etichettabili.
bello
umano
vero
strappato via alla pelle
Un invito a leggere QUANDO STAI SOLO Quando stai solo ti abitui a stare solo. E allora il letto non ti sembra più troppo grande, e dopo un po’ ti fai coraggio e ti prendi anche l’altra metà, CONTINUA
come per magia appare il commento qui sopra, dopo aver indicato questa lettura.
Non era mia intenzione segnalare me, ma appunto, questo racconto.
Un saluto a tutta Cabaret Bisanzio
devo ringraziare Cronomoto per la segnalazione.
ringraziare molto, ché questo testo arriva dritto agli accordi in “minore”.
complimenti.
arrivo via cronomoto e… resto incantata
“E niente” e il penultimo periodo sono proprio belli.
via Crono sosto sul tuo bel Post,
passo per Via Commenti e,
sperando di non essere influenzata
dalle varie targhe (o etichette?),
vengo a dirti -tout simplement!- :
BELLO !
ps.: ti consiglierei di fondare…chessò
la C.A.L.L.I
(confederazione “a livello lavorativo” indicibile)
…io ho già fondato l’A.C.Q.U.A
(associazione contro “quant’altro”)
bisousdeprésentation!
“Né di stare a sentire tutte le sue storie, né di raccontare le mie. Né di spiegare tutto da capo, una volta ancora, solo per NON STARE SOLO (*) una notte. Ecco perché preferisco stare solo.”
Hai detto tutto, purtroppo! Grande Pippusssssssssssssss….moralizza figliolo, moralizza. Che bello avere un amico scrittore vero (o un vero amico scrittore…). Non vedo l’ora che ti etichettino a iosa…..Etichettateci! etichettateciiiiiiiiiii!!!!! Prestooooo! Prima che sia troppo tardi….
*In verità è proprio quella la peggiore forma di solitudine no? Ti ricordi Flaiano: “Ho lasciato mia moglie perchè ero stanco di sentirmi solo…”
Continua così, ma se diventi famoso smetti di fumare il sigaro che mi irriterebbe.
Peppe
questo…
questo scritto è bellissimo e rappresenta ciò che ora vivo… Quando stai solo di Filippo Bologna Quando stai solo ti abitui a stare solo. E allora il letto non ti sembra più troppo grande, e dopo un po’ ti fai coraggio e t