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Tonio
Si chiamava Tonio e quando arrivò a Villaciambra io avevo 11 anni e lui tre mesi. Io due gambe e lui quattro zampe. Villaciambra era una frazione di campagna dove non c’era niente. Quattro case, due piazze: Villaciambra di sopra, dove faceva capolinea il “30”, e Villaciambra di sotto dove c’era il frantoio e la Chiesa di padre Bruno che somigliava a Celentano. C’era il bar tabacchi del signor Lupo, il pollaio dei Vaglica, una microsalumeria. E basta. Poi 250 abitanti, 300 polli, sei o sette cani di tutti e Tonio, il maiale.
Tonio era l’abitante più libero del paese. Coccolato da tutti i bambini, ben nutrito di ghiande, trascorreva le sue giornate con quell’espressione sorridente tipica dei maiali, che riscattano così una nomea ingenerosa. Certo non era un animale di compagnia malgrado per noi bambini appartenesse alla proto-movida quotidiana perché un salto da Tonio si faceva sempre per portargli i (pochi) rimasugli di pranzi e cene. Il fatto è che Tonio era stato dato ai suoi nuovi padroni a pagamento di un debito. Era dunque una merce, rappresentava un valore e in quanto merce veniva tutelato ma inchiodato al suo inevitabile destino: Tonio non sarebbe morto di vecchiaia, ma sarebbe diventato un anello pregiato della locale catena di alimentazione. Tonio in realtà era un maiale provvisorio. E un futuro prosciutto. Noi ragazzini lo sapevamo ma cercavamo di non pensarci. Ma ricordo molto bene come, mentre Tonio cresceva, veniva già squartato. In Borsa non avevano ancora inventato i “future”, l’acquisto delle merci scommettendo sul loro prezzo futuro, è già a Villaciambra si speculava sulla crescita di un maiale. A quel tempo a Villaciambra non c’erano macellerie. La carne si comprava ad Altofonte e da Altofonte veniva, con un “110 TV”, Agostino che portava il pane. La mattina alle sette in piazza arrivavano Enzino e Fiorella. Lui cristiano e lei vacca (zoologicamente parlando). C’era la fila di noi con le bottiglie mentre Enzino mungeva Fiorella direttamente nelle bottiglie. Si capisce, così, come Tonio, mentre in Italia esordiva la Grande Distribuzione, fosse una sorta di paradigma dell’economia contadina, dove il maiale te lo ingrassi sotto gli occhi, sai cos’ha mangiato eccetera eccetera…
Succedeva, dunque, che il medico condotto passasse dal recinto e dicesse al padrone di Tonio: guarda che la pancetta è mia. Chi prenotava le orecchie, chi l’intestino, chi lo stomaco. Perfino le palle, povero Tonio, quelle che non usò mai perché non ebbe il piacere di conoscere una bella maialina che, detto così, be’…fa un certo effetto. Tonio cresceva e si moltiplicavano le prenotazioni. Quando compì un anno il mercato venne chiuso perché non erano rimaste neanche le setole. E sei mesi dopo venne il grande giorno. Era una domenica, naturalmente.
Padre Bruno faceva come un pazzo perché aveva capito che alla messa delle dieci ci sarebbero andate solo le sorelle Di Natale, duecento anni in due e troppo vicine alle porte dell’aldilà per correre il rischio di infilare quella sbagliata. Gli altri tutti nella piazza di sopra dove Tonio sarebbe stato giustiziato. Alle dieci del mattino.
Per l’occasione era stato reclutato un macellatore professionista che lavorava al mattatoio di Altofonte. Un boia duro e severo senza cappuccio e con una grande zappa tra le mani nodose. Tonio arrivò col suo padrone. Non puntava i piedi. Che ne sapeva lui di salsicce ed esecuzioni? Era Tonio di Tutti e, povera bestia, non aveva capito che uno sguardo può essere affettuoso o cupido, che dagli occhi può uscire un cuore o una bilancia. Trotterellava bello grasso e sereno e non capì mai perché gli stessero legando le gambe proprio al centro della piazza.
Era una domenica d’incanto, il sole era salito in cielo sbucando a Oriente da Capo Zafferano e accorciava le ombre implacabile. L’aria si ispessiva di caldo. Villaciambra sudava di eccitazione. Il macellatore si avvicinò che sembrava il boia della rivolta dei Boxer in Cina. Sollevò l’arnese e lo calò al centro degli occhi di Tonio. Morì subito senza un grugnito, senza un tremore di nervi che muoiono un secondo dopo del cuore. Niente. Cresciuto bene, era morto meglio. Solo allora il macellatore aprì una cartella e tirò fuori coltelli, coltellacci e coltellini.
I primi a farsi avanti furono quelli che avevano comprato il sangue di Tonio, destinato a diventare Sanguinaccio. Avevano i pentoloni e il macellatore tagliò dove c’erano le arterie. Non una goccia di sangue finì nella piazza. Quando si dice il mestiere. Poi fu la volta degli acquirenti delle cotenne, poi quelli che avevano comprato i piedi. Poi finalmente si presentò chi aveva prenotato la testa. E fu un sollievo. Perché quella testa ancora lì sotto gli occhi di tutti, ricordava il Tonio vivo, tranquillo e sorridente. Teneva alto il disagio, alimentava quel minimo di pietà della quale non ci si riesce quasi mai a liberarsi. Senza testa, Tonio non era diverso dai quarti che vedevamo appesi davanti alle macellerie, ormai famosi in tutto il mondo attraverso la “Vucciria” di Guttuso.
Lo scempio di Tonio durò un paio d’ore. Dopo sei mesi nella piazza di sopra aprirono una macelleria e Enzino non portò più Fiorella ma prese l’appalto del latte ALP (Azienda Latte Palermo, quella di Renzo Barbera, presidentissimo del Palermo). Fui testimone di un giro di boa e da quella domenica io non mangiai salsiccia ne braciole fin quando non fui sicuro che la dentro non poteva esserci traccia sua e, in qualche modo, anche mia. Mi sarei sentito un cannibale. E quando sento dire a qualcuno “Quello è un porco”, prima di decidere se è un’offesa o no, mi informo sul destinatario. Perché Tonio era un porco, è vero. Ma era amico mio.
29.03.2007 14 Commenti Feed Stampa
14 Commenti
Commentaallora ho qualche speranza…uuuufffff meno male. Grazie Daniele, mi fai iniziare bene la giornata
Povero Tonio, che tristezza. Proprio ieri ho mangiato… No! non voglio pensarci! Se poi vedeste come trattano le vacche, quando le tirano giù dai camions, davvero un macello! Dovremmo avere più rispetto per la natura, perché dipendiamo proprio dalla natura. Avevo pensato di dire basta, niente più latte, ma come si fa! Speriamo che almeno i prodotti coop siano controllati e che tutta la filiera tenga in conto non solo il valore alimentare ma anche tutto il resto. E poi i buoni vecchi animali di una volta, quelli cresciuti in libertà avevano tutto un altro sapore. Povero Tonio.
Daniele, detto “Billi”…ma lo sai che è un piacere leggerti? Aspetto il tuo prossimo post…
Non so tu, ma io uno squartamento di maiale l’ho visto eccome dal vivo, e più volte. La prima volta avevo cinque anni.
E no, non viene ammazzato così. Di solito, gli viene fatto un “buco” in gola e viene appeso per le zampe per farlo dissanguare, prima di procedere al “sezionamento”.
Ma commenti didascalici a parte, hai scritto un bel post, efficace e crudo, che mi ha fatto tornare in mente certe immagini e sensazioni che credevo dimenticate. In qualche modo, grazie.
no, il maiale urla e come!
in alcune zone lo uccidono ancora in modo cruento. in barba sgli ufficiali sanitari!
lucy
Concordo con lucy, i maiali urlano eccome se urlano e di certo non muoiono all’istante; del resto il dissaguamento è il loro destino e la morte lenta e straziante, appesi per le zampe li aspettano. Lo fanno ancora dalle mie parti, in molti, basta pagare un bollettino; solo i quattrini sono nuovi, poi la procedura rimane la stessa: coltellaccio in gola mentre il poveretto scalcia ed urla.
E pensare che i maiali sono più sensibili degli uomini…
Grazie per questo post
Che bel post, o che bel post, ma che bello! Io se mi dicono che ho scritto un bel post li mando tutti affanculo.
Un bel libro si intitola: Certi giorni sono felice – PeQuod. A me me l’hanno regalato per Natale.
C.r., ma lo sai che hai scritto davvero un bel commento? :-)
“Che vitaccia che fai”, disse il maiale all’asino. “Sempre carico, a scarpinare su e giù . E il padrone che ti tiene a stecchetto e ti batte a ogni pie’ sospinto. Guarda me: mangio e dormo a piacimento e mi rotolo nel fango ogni volta che voglio”.
“Già,” rispose l’asino. “Ma ora che ci faccio caso, te mica sei quello dell’anno scorso…”
Dalle mie parti (l’altra isola) prendiamo per assodato che i piccoli suini amino la canzone “Era meglio morire da piccoli….” e li accontentiamo.
seeeeeeeeeeeeeeeee….ho degli amici americani che, visto con i miei occhi hanno il maialetto (quelli neri piccoli thailandesi) in casa come fosse un cagnolino.
per me il porco invece e’ solo roba da mangiare e, per quanto cruenta e straziante, la macellazione e successiva lavorazione, e’ molto interessante. piu’ la seconda naturalmente.
la sgozzata non e’ piu’ legale, ma e’ il sistema migliore per spurgare col sangue le tossine che il povero bestio secerne con la paura dell’imminente morte.
@ C.r: …invidioso? ;D
Invidioso no. E’ scritto bene. Tutto qui?