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mio figlio, modestia a parte, fa lo scrittore, mica taglia salame
di vins gallico
mio figlio fa lo scrittore, povera bestia. ogni volta che vado a trovarlo, sta seduto alla sua scrivania, con una risma di fogli bianchi da un lato e un’altra risma di fogli scritti e consunti dall’altro lato. c’ha quella penna che è un movimento perenne e lui sempre lì, alla scrivania, col sudore grondante. mi dice: papà, non ho tempo.
è disciplinato mio figlio, perché nella vita ci vuol disciplina, sì, anche a far lo scrittore, io gliel’ho detto. e lui non beve, non fuma, mio figlio, non mangia pesante e non va a letto tardi. e fin quando s’impegna così, continuerò a pagargli l’affitto. poi, basta leggerle le cose che scrive: certe frasi meravigliose, parole che paiono gemme, periodi che faranno la storia della letteratura.
ve lo racconto, perché un mio collega che sa di mio figlio scrittore oggi m’ha detto che c’è un concorsino per una casa editrice. perciò sto andando lì, per dirgli a mio figlio che c’è ‘sto concorso e che deve partecipare.
ma quando sono sotto al portone, mi sento improvvisamente chiamare: ‘bicenzu!
mi volto e rimango perplesso.
bicenzu, ma comu, non m’ canusci?
con lentezza l’omone pelato che ho davanti prende forma nei miei ricordi: peppe fraschella.
ma come no? peppe, certo, ma sai che è, m’hai sorpreso. dimmi, peppe, che fai? come va?
bonu, bonu, ora ‘ndaiu ‘na bedda macelleria.
con peppe fraschella ci giocavo a pallacanestro da ragazzo: io ero playmaker e lui ala piccola. non si giocava male, ma peppe aveva un padre ch’era un ossesso, sempre alle calcagna, peppe- -ti-devi-allenare-di-più-peppe-se-vuoi-peppe-diventare-un-peppe-campione. che era quello che voleva suo padre, il suo sogno, mica il sogno di peppe. ‘sto padre era un gigante, un tiranno senza capelli e due baffoni neri.
peppe era la speranza della famiglia.
ora fa il macellaio.
e il basket, peppe?
u lassai futtere!
bravo peppe, se sei contento con la macelleria.
e tu sempre cu’ da’ grottologia? mu rissi to’ soru’…
glottologia, peppe, glottologia.
ti piaciru sempri i grotti a ttia, no?
e poi non sappiamo che dirci.
lo saluto e lo taglio che io vado da mio figlio, che fa lo scrittore. salgo e lo trovo con le solite risme di fogli, tutto sudato. gli dico: scrivi, scrivi, che c’è un concorso, che se non t’impegni non sarai mai uno scrittore. finirà che farai il macellaio se non t’impegni, allora, muoviti, scrivi, povera bestia, vorrai mica andare a tagliare salame.
p.s.
per le espressioni in dialetto si consiglia l’uso del dizionario grandinetti calabrese-turco / turco-calabrese
24.03.2007 18 Commenti Feed Stampa
18 Commenti
CommentaGrande Vins.
Come dice un mio amico di Martano, stai fortissimu.
Io ho capito dove sei arrivato.
Tu non ci crederai.
Ma io ho capito dove sei arrivato.
Va bene così.
P.S. Digli a tuo figlio di non fare figli.
Però chi affetta salame guadagna di più e si tromba le clienti. :-D
Ehi Giuseppe…quello succede solo ne “Il macellaio”…Per quanto mi riguarda, preferirei darla ad uno scrittore che a un salumiere. Vins, dì a tuo figlio che tante la pensano come me e che è meglio saper scrivere che tagliare salame…il salame è meglio gustarlo, magari in due, su un letto sfatto e bevendo barbera.
ragazz*,
indipendentemente dal racconto (che, poverino, è quello che è… e quindi c’è poco da discuterci sopra), volevo dire una cosa: mi sembra che, nonostante lo strepitoso e ammiccante lay-out di questo sito, se caso mai riuscissimo a distaccarci per un attimo da certi chiodi fissi e – tutto sommato – non sempre particolarmente divertenti, magari potremmo “essere” un tantino meglio.
a volte si crede abbastanza utopicamente che leggere (non per forza boiate come le mie) faccia sviluppare un po’ più alcune forme di intelligenza e riflessione…
non è obbligatorio che si debba finire a parlare di figa e pippe sempre e comunque. o meglio lo si fa già ovunque. nessuno è costretto a riproporre tali aulici temi anche qui… a me sinceramente, e in questo tono, interessa poco.
@ filippo: dove sono arrivato? “mi guardo intorno per chilometri e vedo il nulla” (citata a orecchio)… sarò in molise?
@ MIRIAM
Certo, lo scrittore ha il suo fascino. Poi se è pure un po’ maudit, cucca.
Il problema gli si presenta con il conto.
Un salumiere invece per tutta la serata ti parlerà di salumi e di porci, di ganci e di altre cose disgustose – che però avevi nel piatto fino a un momento prima, salsiccia inclusa, quella con il sesamo che ti piace tanto. E quando si tratta di pagare il conto, al cameriere lascia una generosa mancia senza batter ciglio.
Lo scrittore invece si batte le mani sulle tasche, e sospira.
Io scrivo, è questo il mio problema.
Mia madre me lo diceva da piccolo che dovevo fare il parrucchiere, il salumiere o l’idraulico, che quelli son mestieri che guadagni senza passar mai di moda.
Santa donna la mamma. Le avessi dato ascolto.
Vediamo di smentire la mia mamma: a me la daresti? Non ho il becco d’un quattrino… al massimo in pizzeria, per una margherita e una birra media.
Ecco: un’altra volta in bianco.
Dove trovo un corso di formazione professionale per aspiranti salumieri? :-D
@ Giusè…non trarre conclusioni affrettate.
Una pizza è preferibile a caviale e champagne quando il tuo commensale non ti fa desiderare di essere a casa in pantofole (e credi che mi è accaduto).
Onestamente, oltre al cervello, guardo anche se l’uomo mi piace…perciò “prego inviare fototessera”. Il punto non è chi paga ma anche che si fa dopo cena. Per fare il salumiere c’è sempre tempo. Tanto…i salami…non scappano. ;)
@ Vins: Mio caro, non essere così “serioso”…un pò di ironia. Se visito Cabaret Bisanzio, dal suo inizio, è perchè amo la lettura e la scrittura… non sono solita parlare di figa e di pippe perchè la realtà è troppo vasta e complessa per essere ridotta a due sole categorie…
E due cose so fare: apprezzare un post e usare l’autoironia…
un caro saluto
@ Vins.
a) Il tuo racconto non è per niente quel che è. E’ buono. E il dialogo in dialetto è strepitoso.
b) Il Molise non è affatto male per uno scrittore. E’ l’equivalente dell Overlook Hotel(Io volevo solo dire che mi pareva, ti ripeto, può darsi che non abbia capito un cazzo, mi pareva di ritrovare nel tuo racconto un analogia con qualcosa che è successo anche a me. E cioè che mi sembra di ritrovare sincerità in quello che scrivo solo quando c’è ironia. Spogliarsi di molte velleità letterarie, e nell’ironia ritrovare la spontaneità e la freschezza. Fine del pippone.
c) Cercheremo di non attaccare più la pippa delle pippe.
ma infatti Vins, il tuo racconto non è affatto una boiata.
ed il rapporto padre/figli è dipinto benissimo ;-)
@ vins:…è una battaglia persa…sei troppo “serioso”…amen
;)
alle ultime analisi il mio tasso di ironia e autoironia era nella norma. ogni tanto quando sto male e mi sembra che i valori calino, prendo qualche pillolina che aiuta.
ma prima di passare per rompicoglioni ufficiale volevo aggiungere che c’è differenza fra essere “serioso” e provar ad essere un “post-moderno illuminista radical-chic emancipato” (quale io per l’appunto sono! dio mio che sto dicendo?).
credo che le risate ci salveranno quando la base di esse sarà ad esempio non a scapito di terzi arbitrariamente “colpiti”. niente in contrario a parlar di sesso, ma sempre dall’ottica maschile che palle (me la dai, te la rendo, me l’infiocchetti – e poi, esistendo scrittori trombanti, le scrittrici che fanno?).
ironizzare nell’ambito del sessismo, ma anche del razzismo, del nazionalismo (e tutta una sfilza pallosissima di altre cose in -ismo) si può e a volte si deve per andare avanti, ma dipende sempre da quale punto di vista lo si faccia e da quali basi, diciamo, “politico-sociali”…
ok, la predica è finita, andate in pace.
se la scrittrice è Susanna Tamaro, non lo so mica…
Ok, questa è la brutta copia. Aspetto il lato B. E comunque mi offendo: I salumieri italiani sono una santa cosa.
p.s. sai che mi aspettavo entrambe le tue repliche? post moderno ci sta. illuminista forse, radical-chic spiegamela, emancipato tralascio.
“p.s.
per le espressioni in dialetto si consiglia l’uso del dizionario grandinetti calabrese-turco / turco-calabrese”
Qualcuno mi ha nominato?
Per me un “post-moderno” è l’ultimo post pubblicato su Cabaret Bisanzio.
(E successo è il participio passato di succedere)
Tristan Daino
bene, i padri sono sono la maledizione dei figli; perché stupirsi, allora, se i figli in fase edipica intendono sopprimere simbolicamente il proprio vecchio?
(simbolicamente, si era detto simbolicamente, cosa ci fa uno futuro scrittore di appena tre anni con la mannaia in mano?)
Vins Gallico, se sei – come sei – il Vincenzo Gallico che ricordo, son lieto di incontrarti dopo aver pubblicato, tempo fa, le tue parole su sacripante!
caro effe, sacripante era un gran bel progetto.
grazie a te di avermi dato quella possibilità prima che il mio nome battesimale effettuasse quel processo di crucchizzazione (non solo il nome, poi) che lo ha reso quello che è poi diventato…
mi piacque parecchio. Grazie.
Ho 25 anni, comunque.
Anche se l’esilio scriptorio in Uruguay ha fatto schizzare il mio tasso di disillusione a valori da sessantenne.
Il Papozzi mi disse dei tuoi dubbi e mi sembra giusto fugarli o affucarli.
Per la traduzione chiedete al grande Billi.